mercoledì 24 febbraio 2010

Come le anatre di Central park.


Perché i doccia schiuma, non importa di che colore siano nella bottiglia, comunque poi la schiuma che fanno è sempre bianca?

Ovvero sia, dove finisce il colore dei doccia schiuma?

(toccherà mica andare a cercare anche questo a Rennes-le-chateau?)

Saper leggere i simboli.


Pensavo (è un mio terribile difetto): ma se il giovane rampollo di casa Savoia fosse salito sul palco dell'Ariston sventolando il tricolore Savoia, le nostre forze politiche (tipo quelle presenti in sala) avrebbero o no avuto qualcosa di dire?

Forse sì o forse no.

Fatto sta che l'altro giorno sempre quel giovane rampollo di casa Savoia si è presentato a una conferenza stampa durante la quale ha mostrato che la fodera della sua giacca era un tricolore (vi volevo far vedere l'immagine in questione ma in rete non sono stato capace di trovarla. Ma c'è?).
E tutti a dire "Veh che cosa pacchiana. Pacchiana ma curiosa".
Ma è finita lì, baracconata a margine della più grande struttura circense del panorama mediatico.

Ora però, a casa mia, se tu prendi un tricolore e ci metti davanti (tipo sul bianco) un simbolo Savoia (e il rampollo quello è), non hai un tricolore italiano ma bensì… una bandiera Savoia.

Tradotto: se il rampollo avesse sventolato una bandiera Savoia qualche sberla (metaforica) gli sarebbe arrivata, mentre se la bandiera Savoia il rampollo la sventola così non uno che si alzi per dire un bao (uno tipo… Bersani: ah no, Bersani era impegnato a rilasciare un'intervista a Chi –!!!– per dire che come inno del PD lui ci vedrebbe bene "Sono un ragazzo fortunato" di Jovanotti. Ciao mamma, guarda come non mi diverto più per un cazzo).

martedì 23 febbraio 2010

Tempismo.

E ti pareva.

Per 6 anni (forse 7) non ho né telefono né internet a casa.
Vuoi che non succeda proprio niente la stessa settimana che decido di fare il contratto con Fastweb?

Ci manca solo che la Toyota mi scriva per dirmi che il pedale dell'acceleratore della mia Yaris è…

Mi ha scritto oggi.

lunedì 22 febbraio 2010

Il vero scandalo.


Il vero scandalo è che l'insieme di suoni e parole messo in piedi dai 3 tizi di cui sopra non sia arrivato primo a Sanremo, altroché buttare al vento gli spartiti e fischiare (che però salvo in quanto raffinatissima citazione di "Prova d'orchestra" di Fellini).

Cioè, a parte che mi stupisco ancora che qualcuno si stupisca di qualcosa che accade in tv come se accadesse veramente, ma davvero nell'insieme di canzoni che stavano intorno a questa a comporre il Festival, ce n'era davvero qualcuna che andasse appena oltre l'inutile e lo scontato?
Lamentarsi di Pupo e gli altri due cosi e come andare a comprare le scarpe da Pittarello e non accettare che porterai a casa la qualità che stai pagando (cioè, nessuna).

Ma se il tenore imbarazza, di questo che vogliamo dire?



No, vogliamo parlare della pregnanza semantica del Premio della Critica?



O della futilità espressiva che sfornano mesi e mesi di reality musicaroli?


O della preponderanza critica di chi la vita lui la guarda negli occhi?


No, dai, seriamente.
Quella roba lì e chi la guarda (e chi prende su il cellulare e paga per votare le canzoni in gara, aggiungerei) è perfettamente in linea con la colossale opera demenziale firmata dai 3 marmittoni: è in linea con tutto, compresi i 3 marmittoni.

Talmente in linea che, a preservare chissà che, non ha avuto nemmeno il coraggio di farle vincere la gara (ma in realtà, come l'ormai celebre "terra dei cachi", non ha vinto: ha già trionfato).

Se davvero vi devo parlare di qualcosa è il dopo festival della tv del PD ("se la RAI non vuol più dare questo servizio agli italiani, allora lo diamo noi") e del suo segretario che deve esserci a Sanremo perché bisogna essere vicino alla gente.
Bersani, domani passa a casa mia che c'è da raccogliere il bucato.

domenica 21 febbraio 2010

Il Marchese Borghi, cineasta.

In pochi, fuori da Reggio Emilia, conoscono la storia del Marchese Christian Maria Borghi.

Ricco di famiglia (in quanto unico erede di nobili genitori), al rampollo un giorno viene il pallino del cinema e, tra una cosa e l'altra, decide di investire un bel pacco di soldi per diventare il nuovo Orson Welles.
Beh, nel giro di un paio di anni il ragazzo sputtana tutto l'enorme patrimonio di famiglia per mettere in piedi la casa di produzione CMB con cui realizzerà solo un paio di cortometraggi ma, soprattutto, per organizzare delle feste di presentazione degli stessi che da queste parti i tiratori di coca professionisti ancora se le ricordano con una certa nostalgia.

La leggenda vuole che lo stesso Abel Ferrara, nel suo periodo italiano (ma è poi finito?) avesse ottenuto soldi dalla CMB per realizzare un progetto e che il Borghi avesse voluto nel cast del futuro film nientepopodimeno che Christopher Lee, rapporto di lavoro (pagato ANTICIPATAMENTE) di cui resta soltanto la foto in apertura di questo post. E ovviamente il film non si è fatto.
Sempre la leggenda vuole che il colpo definitivo ai sogni del Borghi gliel'abbia dato la causa messa su dagli eredi dello scrittore Fredric Brown che non presero benissimo il fatto di non essere stati interpellati in merito all'utilizzo del racconto "La sentinella" in uno dei suoi progetti.

Tanto per farvi capire, a Reggio Emilia quando si dice "fer Borghèda" (= fare una Borgata) si intende di "buttare via un mare di soldi per fare qualcosa di assolutamente strambo" e, tra appassionati locali di b-movies, l'amore per i film del Marchese Borghi ha sostituito comodamente quello nei confronti delle pellicole di Ed Wood.

Beh, io i film della CMB non ero mai riusciti a vederli (quando mi sono trasferito a Reggio Emilia il celebre cineasta era già scomparso da tempo, inseguito dagli strozzini e dalla famiglie di un paio di giovani attrici locali che aveva messo incinta) ma poi, l'altro giorno, con grandissima sorpresa ho visto che in rete sono spuntati i suoi ormai leggendari cortometraggi.

Che dire? La loro fama è ampiamente meritata e, da oggi, il marchio CMB è impresso a fuoco nel mio cuore.

Vedere per credere:





sabato 20 febbraio 2010

Note in margine al 3D.


Sul tecnologia 3D applicata al cinema condivido buona parte dei dubbi espressi nel suo articolo dalla giornalista e studiosa di cinema Kristin Thompson (se per caso volete leggerlo in italiano, il lungo articolo è stato tradotto e pubblicato in 2 parti sulla rivista Duellanti) ma, nonostante ciò, credo che sia ancora presto per dire se la storia si ripeterà (e quindi il cinema abbandonerà per l'ennesima volta il 3D) o se siamo davvero di fronte ad una svolta che cambierà il modo in cui, in futuro, guarderemo i film.

In ogni caso oggi, riguardando Bastardi senza gloria, ho notato che anche Quentin Tarantino sembra aver voluto dire la sua sul 3D al cinema (non a caso all'interno di un film che, appunto, è soprattutto una riflessione sulla potenza dell'immagine cinematografica).

Nella scena del rogo del cinema pieno di nazisti, infatti, le fiamme che invadono lo schermo, stagliandosi sul bianco e nero del film, evocano già un'idea di immagine che esce dallo schermo.
L'impressione è confermata in una delle scene successive in cui le immagini del film di Shoshanna si proiettano deformate sul fumo che invade la sala e che, quindi, sembra dare a quella risata che sovrasta i nazisti che stanno morendo una volumetria tridimensionale.

(Tarantino magari non poteva saperlo, ma uno degli studi su come proiettare le immagini 3D, quello eseguito dal Four Eyes Laboratory co-diretto dal Prof. Tobias Hollerer, prevede l'abbandono del classico schermo per sostituirlo proprio con una parete fatta di fumo)

Ecco la mia lettura della scena: il 3D è una tecnologia che viene dal passato (come Shoshanna dal passato del Col. Landa) e che ha le sue motivazioni principali nella vendetta (ovviamente quella di Shoshanna verso i nazisti che le hanno sterminato la famiglia e, nel caso del 3D, nei confronti della pirateria e dell'home-video viste come causa principale dei mancati guadagni delle sale cinematografiche).

Anche se a rischio ulteriore di ipercodifica, mi sembra interessare notare come la vendetta di Shoshanna in realtà si vada a innestare in una guerra già in corso (il piano dei Bastardi per eliminare Hitler); nel caso dell'industria cinematografica, la guerra già in corso da tempo  – e solo accelerata dalla crisi economica globale – è quella tra le mayor per definire nuovo standard su cui strutturare il guadagno derivante dai film.

venerdì 19 febbraio 2010

Cose che amo, cose che odio.


Cose che amo: ricordarmi, mentre faccio pipì, di aver mangiato asparagi a pranzo.

Cose che odio: i picoglass.

giovedì 18 febbraio 2010

Se la vita ti da limoni, fai una limonata.


Così, mica perché ho ascoltato il disco di Riva Starr, ma solo perché era un titolo che mi piaceva e mi sembrava pure una buona filosofia di vita.

Quando si dice un bel guadagno.


E ora la parola al compagno Wladimiro Guadagno sull'ipotesi che, in futuro, si candidi nelle liste del Partito delle Libertà:

"Nella vita ho imparato a non escludere mai nulla. Tutto è possibile. Non sono alla ricerca di una poltrona, ma sicuramente mi farebbe piacere contagiare il centrodestra su certe questioni che non devono più essere affrontate ideologicamente o per partito preso. D’altronde ho sempre pensato che l’elettorato del centrodestra sia più liberale dei suoi rappresentanti in Parlamento e le mie battaglie non sono mai state di parte perché mi sono sempre confrontata con gli avversari politici , non mi sono mai sottratta al dialogo".

Detto questo, votiamo la mozione per rimandare il compagno Guadagno sull'Isola dei Famigerati. E per lasciarcelo definitivamente.

mercoledì 17 febbraio 2010

Una descrizione precisa.

Con Schultz morto, Bill Watterson che è inutile pregarlo che tanto non torna e Frank Cho in ostaggio della Marvel (maledetti!), sono tempi durissimi per chi vuole leggere delle belle strisce a fumetti.
Per fortuna che in giro c'è ancora l'argentino Liniers che, con la sua Macanudo ci regala a ogni uscita piccoli grandi gioielli del raccontare il mondo (e il suo surrealismo) in forma di striscia.

Per ora, grazie agli ardimentosi della Double Shot, in Italia ne abbiamo visti 2 ottimi volumi (il cui acquisto, miei cari 5 lettori e mezzo, ve lo consiglio senza esitazione alcuna, segnalandovi pure il dove) ma, considerando che è dal 2002 che Liniers la produce come striscia quotidiana, possiamo stare tranquilli che, se il mercato italiano la sostiene, Macanudo ci terrà compagnia ancora per molto tempo.

Ora però non mi interessa tanto parlare di Macanudo (che non serve che ve ne parli io: acquistate i libri e godetevela), quanto piuttosto della cara, vecchia, amata depressione.

In una sequenza di strisce di Macanudo, Liniers sfodera infatti questo piccolo gioiellino di precisione descrittiva:


Ora, che la si chiami poeticamente "malinconia" invece che con il suo più prosaico nome clinico, cambia poco. Quello che conta è che non capita molto spesso che qualcuno metta a fuoco un aspetto così importante di questa malattia: ovvero che le radici della depressione non sono affatto in una tristezza profonda quanto, piuttosto, in un'ingombrante energia che non trova il modo di relazionarsi con il mondo e che, come un vettore ribaltato, spinge costantemente dentro quello che dovrebbe essere diretto fuori.
La "malinconia" arriva in un momento preciso della propria vita ("una di quelle sere", dice Liniers) e, quando la incontri per strada, ti si incolla addosso e, da quel momento, non smette un attimo di fare sentire la sua presenza chiassosa.
Sì, proprio come nella canzone della Vanoni.

Ma tutto questo rumore per non sentire cosa?, ci si dovrebbe domandare.
Tutto questo premere (o deprimere) per non lasciare esplodere cosa?

Domande a cui ognuno dei poveri "faccia da funerale" (di noi poveri "faccia da funerale") darà sicuramente una riposta diversa.

Quello che invece vi chiederete voi, numericamente consistenti lettori di questo blog, è come prosegue la vicenda di Raimùndez e della sua ingombrante amica. Beh, prosegue così:


Esatto: lo psicologo può solo dare una mano. Prima lo capisci e prima… e prima niente. Ogni cosa ha il suo tempo e in questo campo mi sa proprio che il prima non esiste.

Bene, detto ciò, la conclusione? Questa:


E sì, per fortuna che ci sono i valorosi psicologi argentini che la malinconia non la uccidono (inutile negarlo: noi "faccia da funerale" ci abbiamo vissuto troppo tempo insieme per volerla morta) ma, con uno zap, la rimettono al suo posto quando ci accorgiamo che è diventata troppo invadente.

Un grazie di cuore a tutti loro. E ai loro colleghi e colleghe italiani, mi sento di aggiungere.

martedì 16 febbraio 2010

Perché tanto odio?


Visto ieri Amabili resti di Peter Jackson di cui nei blog che frequento (tipo questo o questo) avevo letto tutto il peggio possibile e immaginabile.

Io vi dirò invece, cari i miei 5 lettori e mezzo, che non l'ho trovato poi così male come ho sentito raccontare in giro.
Certo, chi si aspettava il ritorno del Jackson di Creature del cielo sarà rimasto sicuramente deluso ma, d'altra parte, se Jackson dopo 15 anni facesse ancora lo stesso tipo di film non sarebbe molto diverso da Tim Burton (e i miei dubbi sul presente cinematografico di Tim Burton li ho già espressi qui).

Penso invece che questo sia un film di transizione per il regista neozelandese e che, proprio per questo, il grande e il piccolo (temi sempre presenti nei suoi film, sia come argomenti trattati che come scelta della tipologia della messinscena) siano presenti come poli del film. Nei confronti di essi Jackson chiaramente ancora non ha preso una decisione (sceglierne uno rispetto all'altro o trovare un modo diverso di farli convivere?) ma, proprio per questo, credo che sia importante che abbia deciso di confrontarsi con un testo come quello che ha al centro una bambina morta bloccata per sempre nell'attimo della sua vita appena prima del cambiamento, una famiglia che va piano piano a pezzi per il dolore della scomparsa e un pedofilo che, tutto sommato, da tutta la vicenda ne esce impunito.
E, cosa più difficile, raccontare tutto ciò che di bello non ha nulla con una luminosa e aurea bellezza delle immagini come il testo di Alice Sebold da cui il film è tratto praticamente imponeva.

Vero è che il film ha un problema di fondo (ha 4 o 5 centri narrativi che però non è che lavorino tutti bene insieme e che, fino alla fine Jackson sembra non decidere su che registro fare assumere alla storia e alle linee narrative tracciate dai suoi personaggi), ma vero anche che per buona parte del film le emozioni che la regia decide di darci (attesa, smarrimento, paura, tensione e dolore) arrivano tutte a segno e che le immagini a cui ricorre per raccontare la storia (oltre al già citato rapporto tra piccolo e grande, le case vere contrapposte a quelle finte, il discendere nella terra parallelo al salire nel primo cielo, il movimento che nasce dalla fissità delle cose) siano molto interessanti nel modo in cui riescono da illuminare aspetti di una vicenda che, in fondo, sappiamo già qual è non appena inizia il film.

Ora, io non ho letto il libro della Sebold ma così, a senso, credo che se un difetto al film va trovato, quello sta nell'averne espunto dalla messa in scena la carnalità (ma questo credo sia un rischio nell'avere Steven Spielberg come socio in affari) e nel non riuscire a far provare allo spettatore quel senso di malinconia legato a filo doppio all'idea di un tempo che passa e che non ci vede partecipi.
Ripeto, non ho letto il libro ma, non so come spiegarvelo, nel film è come se si vedesse chiaramente il segno delle pagine strappate.

Così come purtroppo non è chiarita fino in fondo che la realtà immaginaria dentro la quale la defunta si muove non è la sua ma quella del suo assassino a cui è lei, in fondo, che concede di tenerla ancora prigioniera (e questo invece mi sembra che potesse essere un punto di forza della storia da far emergere maggiormente).

Ci sono poi i tanto sbandierati effetti speciali del film ma, sarà anche il dopo Avatar, io non li ho trovati questo granché (e parlo esclusivamente come risposta emotiva ad essi).
Il vero effetto speciale del film trovo invece che siano gli occhi che l'attrice Saoirse Ronan presta al personaggio di Susie Salmon e l'interpretazione del suo assassino da parte di Stanley Tucci.
Mark Wahlberg invece, come sempre, non c'ha colpa.

lunedì 15 febbraio 2010

E tre.

Terza visione di Avatar (prima dell'uscita, avevo promesso a Cini che ci saremmo andati insieme, ma poi non è stato possibile farlo; così ci siamo accordati per una seconda visione –o, per me, terza– non appena fossi passato per Fano) e alcuni dati in più:

- la versione 3D della Dolby (vista a Fano) è peggiore di quella della Real D (vista a Reggio Emilia): immagini 3D meno definite e meno luminose. Il sistema della Dolby si porta ancora dietro qualcosa della polarizzazione rossa/verde delle lenti e questo fa sì che siano diverse le zone dello schermo che vanno a fuoco con difficoltà (oltre al fatto che, appunto, girare la testa un po' di lato, fa emergere il rosso e il verde nella visione periferica)

- il problema della luminosità e della cromaticità resta comunque in entrambi i sistemi: se ti togli gli occhialetti ti rendi conto che le immagini proiettate sono giuste come colori e luminosità (e quindi la versione 2D paradossalmente assume un suo senso), ma quegli aggegi infernali che ti obbligano a indossare (ancora più infernali per chi, come me, porta già gli occhiali) si mangiano buona parte della luce e del colore (con il risultato che il bianco è grigio e che tutte le immagini sono un po' in penombra).
Di più: questa ridotta cromaticità/luminosità fà sì che tutta la fotografia del film sembri sballata, con il risultato che spesso le immagini, soprattutto quelle in cui sono presenti i personaggi umani, ricordano un po' quelle dei primi CD interattivi anni '90 con i personaggi che si staccano esageratamente dallo sfondo che risulta così finto (sì, tipo Under a Killing Moon o 7th Guest). Però basta togliere gli occhiali e si vede che, nelle stesse situazioni, la fotografia funziona, con i personaggi che vivono realisticamente nello spazio in cui sono collocati.

- tradotto: la tecnologia 3D è qualcosa di ancora ampliamente migliorabile. Il mercato giustificherà questi (immagino costosi) miglioramenti?

- torniamo all'articolo di Bittanti (che, tra parentesi, si può leggere QUI). Confermo che i terrestri che se ne vanno alla fine del film indossano la maschera d'ossigeno (e quindi non è violato nessun principio narrativo del film) mentre discorso diverso per il libro cartaceo di cui parla nell'articolo. Ora, credo che si sia generato un equivoco: è vero che nel film si dice che la dott.ssa Augustine (Sigourney Weaver) ha scritto un libro (sulla botanica di Pandora) ma il libro che mostra Sully (quello intitolato Na'vi) viene tirato fuori quando il personaggio dice più o meno che la storia si ripete, ovvero che se qualcuno sta seduto su qualcosa che vuoi, tu lo rendi tuo nemico per avere poi la scusa di fargli guerra e prenderti quello che ti interessa.
Questo giustificherebbe l'idea che quel libro non è quello della dott.ssa Augustine ma, piuttosto, una specie di testo (pagato dalla Multinazionale RDA che vuole mettere le mani su Pandora?) che sostiene che i Na'vi sono brutti, sporchi e cattivi, cioè né più né meno come gli Iracheni del XX secolo.

- Curiosità: il nome dell'autore che si intravede nella copertina del libro mostrato da Sully è quello di un certo Palmer.
Palmer… Avatar… Provate a fare una ricerca on-line e guardate che cosa ne esce fuori.
Ecco qua: Harry Palmer è un tizio associato per diverso tempo a Scientology che, guarda caso, ha lavorato sulla teoria dell'Avatar.
Il che apre il campo a diverse interpretazioni su questo libro che, come si diceva, nel film viene mostrato al pubblico in maniera molto diretta e palese (dando quindi motivo di pensare che un perché ci deve essere).

Ok basta. Ce ne è a sufficienza per beccarsi l'etichetta di nerd

Tento di rimediare segnalando questo filmato, ovvero come sarebbe dovuto finire davvero Avatar secondo i tizi del sito howitshouldhaveended.com:



(e solo per Ren, che so che apprezzerà, la versione in 8 secondi del film):

venerdì 12 febbraio 2010

I cosplayer in tivvù.

Non lo so, sarà la notizia che ho letto oggi che l'evento della quinta edizione di Mantova Comics e Games sarà Cristina D'Avena (complimenti ragazzi, questa sì che è una deriva), sarà che vedo uscire uno dopo l'altro un sacco di libri a fumetti che sono sempre in meno ad acquistare e che gli scaffali delle fumetterie spesso magari li raggiungono, ma oggi ho pensato che non mi stupirei se prima di quanto ci aspettiamo iniziasse un programma su Italia 1, uno di quelli condotto da qualche scarto delle Iene e impreziosito dalle natiche di Giuliana Moreira (sì, tipo Meteore), però totalmente dedicato ai cosplayer e alla loro sistematica e metodica perversione di mascherarsi da personaggi dei fumetti, film, cartoni animati e videogiochi.

Come stupirsi? La tv di oggi si nutre di freak, di contrasti esagerati, di puntigliosa inutilità, di riciclaggio di ciò che si conosce già e di continuo e reiterato senso della nostalgia (e per non parlare del travestitismo che di questi tempi va per la maggiore). I cosplayer sono perfettti per mettere in scena tutto questo. È il loro pane quotidiano.

Oggi tutte le belle menti del fumetto italiano gli sputano in testa ai cosplayer, ma metti che domani qualcuno va in TV a spiegare perchè la sua perversione è vestirsi da John Doe, oppure da Sandman o da Invincible.
Sai che svolta per le vendite in Italia? Sai che corsa tra gli editori a corteggiare i cosplayer per farli vestire da uno dei personaggi che pubblicano?

Altroché le collane di Repubblica e della Gazzetta. Nessuno produrrà più un Supergulp che faccia cortocircuitare fumetto e sistema di comunicazione di massa. Oggi è solo questa l'unica possibile svolta di massa per il fumetto popolare in Italia.
E, capisco benissimo che è dura da mandare giù, è in mano ai cosplayer.

Non è stato piaciuto.

Orrore! Il venerabile (e venerato) Bittanti, dalla pagine di Duellanti mi stronca Avatar senza se e senza ma.

Ora, chiaro che, pur venerandolo, non posso condividere il suo punto di vista su un film che sono già andato a vedere due volte (anche se è interessante il discorso che, nell'articolo, Bittanti accenna sul cinema di interfacce). Una critica così forte proveniente da uno dei miei numi tutelari mi impone di accelerare i tempi di scrittura della mia recensione/critica/riflessione (titolo di lavorazione: Addormentatevi su Pandora) sull'epocale pellicola firmata dal prodigioso Jimmy Cameron (pellicola? Ma si può ancora dire pellicola nell'epoca del cinema digitale?).

A parte questo, mi soffermo su due cose che Bittanti indica nella sua recensione: la prima che, in un mondo futuristico hi-tech come quello messo in scena in Avatar, fa ridere l'entrata in scena del libro cartaceo sulla botanica di Pandora scritto dalla dott.ssa interpretata da Sigourney Weaver; la seconda è che, se su Pandora l'aria è irrespirabile per gli umani come viene più volte ribadito nel film, allora non si capisce perché alla fine gli umani che salgono in catene sull'astronave non abbiano le maschere e i respiratori.

Dunque, per quello che riguarda le seconda osservazione a me non pare che sia così ma potrei sbagliarmi e per essere sicuro dovrei riguardare il film (e tre!). In realtà quello che a me ha colpito di quella sequenza è che la voce narrante/Sully definisce gli umani che se ne stanno andando "alieni" e quindi, da una parte gioca sul termine inglese alien che può anche voler dire "straniero" e, dall'altro, professa il suo definitivo distacco dal genere umano che è il vero elemento di forza della storia.

La prima, invece, devo dire che è una cosa che è saltata abbastanza all'occhio anche a me. E non tanto per il discorso digitale/cartaceo che fa Bittanti, ma proprio perché l'oggetto libro è esposto in maniera molto forte, messo in primo piano come a voler sottolineare nei confronti del pubblico qualcosa di ben preciso.

Le spiegazioni posso essere di diverso tipo e vanno dal gesto Manfrediano (da Nino Manfredi) col pacchetto di sigarette in primo piano sottolineato da Nanni Moretti (e quindi dobbiamo aspettarci l'uscita del libro vero e proprio, compendio della bibbia di lavorazione del film spacciato per saggio della Dott. Augustine) fino al meta-testo in stile Diario Segreto di Laura Palmer.

Oppure c'è una terza ipotesi che però andrebbe meditata in funzione di quello che il film racconta.
Noto solo che il famoso libro (di botanica, lo ricordo) si intitola Na'vi. Però Na'vi, nel film, non sono le piante ma gli abitanti del pianeta, quelli alti e blu.
Penso al libro Il riscatto di Ender di Orson Scott Card e alle forme di vita del pianeta Lusitana il cui ciclo di vita è legato a filo doppio con quello degli alberi (e a quello del mortale virus della Descolada) e penso che sia strano che nessuno lo abbia ancora citato parlando di Avatar.

Ma probabilmente c'è anche altro e sono sicuro che il mio guru una risposta ce l'ha (come sono altrettanto sicuro che Bittanti propenda per l'ipotesi "banale marchetta per l'imminente uscita in libreria").

giovedì 11 febbraio 2010

Debito formativo.

– Sono Guido, buongiorno... Sono atterrato in questo istante dagli Stati Uniti. Se oggi pomeriggio, se Francesca potesse... Io verrei volentieri per una ripassatina. Perché so che è sempre molto occupata... siccome oggi pomeriggio sono abbastanza libero, ti richiamo tra un quarto d'ora.

Nella vita, si sa, gli esami non finiscono mai e allora bisogna studiare, studiare e studiare.
E quando si ha un pomeriggio libero, ricordarsi di ripassare.

mercoledì 10 febbraio 2010

Il mio amico Masai.

L'altro giorno sto facendo colazione e Simone, il mio amico Masai, mi telefona (e già qui fa ridere, quindi potremmo comodamente fermarci e passare al prossimo post) e mi dice nel suo italiano che al telefono non è così facile da capire al 100% (ma sicuramente è meglio di quanto potrà mai essere il mio swahili):

"Ciao, come stai? Tutto bene lì?"

E io: "Sì, qui tutto ok. Io sto bene, però qui fa freddo. Per strada c'è ancora la neve."

E lui: "Eh, qui invece fa caldo. Fa molto caldo. Troppo, troppo caldo."

E io, brillante (e rosicone perché vorrei essere ancora al caldo): "Davvero? Beh, potremmo fare a cambio. Voi ci mandate qua un po' di caldo e noi vi mandiamo li un po' di neve. Almeno così vedi come è fatta la neve."
E a seguire mia simil risata da emulo di Alberto Sordi.

E lui, prima silenzio, e poi "Ma io la neve lo so com'è fatta. Sono nato sotto il Kilimangiaro".

Lui, il mio amico Masai che, dall'altra parte del mondo, prende su il cellulare e mi chiama (e che non è quello della foto).

Io quello piccolopiccolo sotto l'enorme l'icona di Diego "Ponchia" Abatantuono in Marrakech Express che brilla rifulge del mio imbarazzo.

martedì 9 febbraio 2010

Pensiero sul futuro.

In una scala da 1 a 10, quanto sarà una puttanata "Alice in the wonderland" di Tim Burton?

Devo decidere se mi convincono di meno le riprese tradizionali gonfiate a 3D (perché Avatar non la può mica tenere su tutta da solo questa bella baracca che è ancora tutta da costruire), il Cappellaio Matto spacciato come personaggio principale per esigenze di casting, il gatto del Chesire che il grande genio visionario ha interpretato… come un gatto o il fatto che si nasi da lontano un miglio che a Burton non gliene fregava una benemerita cippa di lavorare sul testo di Lewis Carroll (e che, come ha dichiarato, non ha mai avuto nessun ascendente su di lui. Cosa che, personalmente, mi sento anche di condividere).

Tutto questo mescolato con la nettissima sensazione che, da qualche film a questa parte, Burton abbia esaurito quello che aveva da dire e che ora tutto quello che riesce a tirare fuori sono "cose che il pubblico può riconoscere come fatte alla maniera di Tim Burton (o Burtoniane che dir si voglia)" ma, per forza di cosa, molto più deboli di quelle che in passato lo hanno consacrato come autore di cinema.

domenica 7 febbraio 2010

venerdì 5 febbraio 2010

Ma un bel sequel di Watchmen?

Ma che bella ideona signori della DC Comics (ops, DC Entertainment). Un bel sequel di Watchmen: perché no?

Lo possono fare? Lo faranno.

Però la cosa ancora più bella è che, per contratto, anche se i personaggi sono di loro proprietà, devono chiedere prima a Moore e Gibbons se, per caso, loro vogliono lavorarci.

Infatti (cito dal sito Bleeding Cool che ha reso pubblico lo scoop) "Alan Moore e Dave Gibbons devono, per contratto, ricevere una proposta per ciascuno dei potenziali titoli. Se non vorranno lavorarci (Alan Moore non accetterà mai), DiDio si è già messo alla ricerca di altri artisti. Alcuni creatori sono reticenti, tuttavia se ci saranno diversi progetti di spin-off la vergogna potrebbe ricadere su numerose spalle. Le vendite saranno comunque altissime, nonostante il cattivo passaparola che potrebbero spargere i fan: i vantaggi economici delle vendite alle stelle ricadrebbero su tutto il team creativo"

La prego signor Moore (e anche lei, signor Gibbons): accettate e consegnategli 400 e passa pagine senza parole, fatta solo di panorami, personaggi muti che guardano fissi ed ebeti in camera (più Watchmen di così), due o tre galline che beccano per terra e tante, tante, tante nuvole che passano veloci sulle colline.

Poi voglio vedere Zack Snyder a girarlo (ma, per come è andata al primo giro, mi sa che non c'è proprio il rischio).

ps: mi scuso con messer Voglino da Milano per essermi accodato, commentando questa notizia, al Neanderthalismo imperante in rete (però è anche colpa sua: prima di leggerla sul suo blog mica la sapevo).

giovedì 4 febbraio 2010

Lost a 8 bit.

Grazie a una segnalazione sul blog Space Chili di Fabrizio Furchi (che intravedo spesso sui blog di Roberto Recchioni e Andrea Voglino) mi imbatto in quello di Penney Design, geniale inventore di questi "retro games with modern themes" (e, come fan di Monkey Islandcome faccio a esimermi dalla segnalazione?).
Fate un giro sul suo blog per godervi qualche altra chicca di questo tipo (ad esempio quella dedicata ad Avatar).

mercoledì 3 febbraio 2010

Legittimamente.

Ora siamo un po' più legittimati a dirlo: è impedito.

La Crisi.

Nel 1998 avevi un gruppo che, dopo due album, pagato dalla major o meno, si era comunque beccato il premio come miglior gruppo emergente agli European Music Award, collaboravi con Franco Battiato (il Maestro!!!!), producevi musica e oggi sei finito a fare le braccine a croce in TV pettinato come il figlio del Conte Wurdalak, a farti bacchettare in radio come cattivo esempio per i giovani dalla Meloni, a mendicare un posto a Sanremo e a dover recitare il mea culpa nel teatrino serale della colpa e redenzione gestito da Bruno Vespa?

Credimi Morgan: fumare il crack è il minore dei tuoi problemi.

martedì 2 febbraio 2010

Il miglior ufficio stampa del mondo.

Non ho dubbi su quale sia il miglior ufficio stampa del mondo: mia madre.

È stata infatti lei ad attaccarsi al telefono e a convincere la redazione della tv locale fanese (Fano TV) ad intervistare uno dei suoi più celebri cittadini, quell'Andrea Toscani che con le sue mirabolanti traduzioni in lingua italiana sta "facendo parlare" un sacco di celebri fumetti (roba da niente tipo i Peanuts, qualche eroe Marvel qua e là e, last but not least, buona parte del catalogo targato saldaPress).

In realtà la signora ha fatto di più: ha redarguito la redazione di Fano TV – come solo lei sa fare: e, fidatevi, io che sono il figlio so di che cosa è capace –  perché non aveva ancora intervistato Michele Petrucci, un signor autore di fumetti fatto e finito che, pubblicando le sue opere un po' dappertutto in giro per il mondo, tiene alta la bandiera fanese su cui si stagliano le 3 P dei suoi simboli locali (il pesce azzurro, la Polena e la pasticciata con cui, si sa, Petrucci accompagna ogni sua conferenza stampa).

Va quindi ora in onda QUI l'intervista ad Andrea Toscani e, prossimamente, quella al Sor Petrucci (che vedo più in linea con la colonna sonora parappapà del programma).

Io però l'avevo detto prima.

Qualche mese fa si parlava qui del telefilm Lie to me e di come sarebbe stato divertente (oltre che azzeccata come campagna promozionale) applicare le tecniche che sciorina il protagonista della serie a uno a caso dei discorsi pubblici di Berlusconi.

Ecco oggi che YouTube ci propone in video proprio quell'analisi: