sabato 21 novembre 2009

Altro? Altro.


Per tanti motivi (e anche qualcuno di più) in questi ultimi mesi sono nel bel mezzo di una riflessione che più o meno suona come "Che diavolo ci faccio qui?"
E il qui è Reggio Emilia.

Io a Reggio Emilia mi ci sono trasferito più o meno una decina di anni fa (forse 11, forse 12. La memoria non mi assiste) quando con Marco e Andrea (e, al tempo anche Giancarlo) mettemmo su l'idea di Gruppo Saldatori (che poi, senza Giancarlo, divenne una Snc con tutti i crismi nel 1999).

Il punto è che io e Reggio Emilia non ci siamo mai fatti guerra ma nemmeno mai amati. Ci frequentiamo, a volte ci sopportiamo, e io continuo a rimproverarle che non ha il mare (cazzo quanto mi manca quel quarto lato davanti al quale sono nato) e lei a farmi notare che io all'idea di sinistra ci sono arrivato mooolto in ritardo (e qui io rilancio: "io ci sarò arrivato in ritardo, ma tu cara ne smarrisci un pezzetto ogni giorno che passa").
Lei è più grande di Fano, ma Fano, di domenica, ha i bar aperti.
Alcuni miei amici pensano che prima o poi io da Reggio Emilia me ne andrò. E probabilmente hanno ragione loro (però poi dove andrò e tutto un altro paio di maniche).
Insomma, siamo messi così.

Comunque sia, ci sono delle cose di Reggio Emilia che mi hanno fatto sempre ridere.
Tre in particolare.

La prima: i reggiani usano ancora l'espressione "perbacco". La prima volta che l'ho sentita, lo confesso, pensavo che mi prendessero per il culo.
Ero al bar.

- "Posso prendere il giornale?"
- "Perbacco."

Cioè, per me "perbacco" è automaticamente primi del '900, bastone da passeggio e baffoni con le punte all'insù. Qui invece è una parola comune, praticamente la versione g-local di "assolutamente sì".

La seconda: i reggiani non dicono "mica". Dicono (e scrivono) "micca". E sono convinti che quella con due "C" sia la versione dell'italiano corretto.
Un volta che ho fatto notare che le cose non stavano esattamente così sono stato bellamente sfanculato.

Ma la terza, per quello che mi riguarda, è in assoluto la più bella, talmente bella che ancora oggi, quando voglio mettermi alla prova, tento anche io di utilizzarla (ma 9 volte su 10 l'imbarazzo mi impedisce di farlo: segno che 10 anni e più di vita vissuta a Reggio Emilia non fanno di me un Reggiano).
Facciamo un esempio. Sei a Reggio Emilia e sei al supermercato, al bancone dei salumi ad esempio.

– Vorrei un etto di questo.

(e la commessa te lo prepara)

- Altro?
- Sì, vorrei anche due etti di quello.

(e la commessa te lo prepara)

- Altro?
- Altro.

Cioè, per i reggiani la parola che indica "Grazie, sono a posto così" quando qualcuno ti chiede "altro?" è… "altro".
Un po' come l' "how do you do?" per gli inglesi. Si risponde "how do you do?"
Altro? Altro.

Metti mai che un giorno decidessi di scrivere un libro su questi anni passati a Reggio Emilia, credo che lo intitolerei proprio così.

sabato 14 novembre 2009

Io se fossi Bonelli.

Quest'oggetto che vedete qui sopra si chiama Kindle ed è il lettore di libri elettronici prodotto e commercializzato da Amazon, cioè la più grande libreria on-line del mondo. Acquistarlo e farselo spedire costa sui 250 dollari (forse qualcosina di più per noi europei).

Probabilmente lo avrete già visto e ne avrete già letto e sentito parlare visto che, negli ultimi mesi, non c'è stato quotidiano, rivista o telegiornale che non si sia dedicato a questo aggegio (alla sua seconda incarnazione di design) che promette di traghettare il libro (ma anche il quotidiano e la rivista) dalla forma cartacea a quella digitale.
Fare ciò è molto difficile e probabilmente non ci riuscirà Kindle ma, se non iniziano a provarci colossi come Amazon, difficilmente lo farà qualcun altro. Perché la forza di Kindle rispetto ad altri dispositivi (a cominciare dai palmari fino ai lettori dedicati) è proprio la libreria elettronica di Amazon che, di giorno in giorno, continua ad espandersi.
E come qualcuno magari avrà notato, dentro la libreria ci sono anche i libri a fumetti.
E questo ci porta all'argomento del presente post.

Ora uno dei limiti strutturali di Kindle (per il momento, credo) è che lo schermo è in bianco e nero, probabilmente per ottimizzare il contrasto dell'immagine (e quindi la lettura). O forse solo per tenere contenuti i costi.

Fatto sta che, se parliamo di fumetto, il bianco e nero esclude buona parte della produzione americana (a meno di non adattarla o di non ricorrere alle strisce) e fa entrare in campo con prepotenza quella giapponese che è già pronta per il bianco e nero e, soprattutto, può garantire una massa di titoli praticamente infinita (oltre a un pubblico molto interessato ad essa).

E questo mi ha portato a un pensiero laterale.

Al momento il punto di forza della Sergio Bonelli Editore è proprio la mole di pagine e di storie, sia quelle classiche sia quelle che vengono prodotte ogni mese.
Sono tantissime e sono tutte in bianco e nero.
Di più. Il modello Bonelliano, ogni anno che passa, entra sempre più in crisi (crisi da leggere soprattutto in funzione del non ricambio del parco lettori) e, miniserie a parte, non sembra aver messo in campo molte soluzioni al problema (un esempio per tutti: non mi sembra che sia stato mai fatto un progetto serio per sbarcare in libreria).
Le storie bonelliane, si sa, di là dell'Oceano, non hanno mai avuto troppa fortuna, probabilmente schiacciate dall'industria del comic book che, praticamente, permette a pochissimi altri generi narrativi di filtrare.

Però ora, con l'avvento del libro elettronico (di cui, chiaramente, siamo solo all'alba) siamo di fronte a un nuovo pubblico e, soprattutto, di fronte a un pubblico che, se ha acquistato un aggegio da 250 dollari, vorrà anche sfruttarlo. Cioè vorra roba da comprare e da leggere. E i fumetti, rispetto ai libri solo testuali, si leggono velocemente.

Per cui io, se fossi Sergio Bonelli, mi farei due conti su quanto costerebbe cominciare a tradurre in inglese blocchi di materiale narrativo e quanto costerebbe letterarlo tutto in elettronico. Dopo di che organizzerei un bell'incontro con i signori di Amazon per siglare un contratto attraverso il quale mettere in vendita blocchi consistenti del Bonelli Universe su Amazon. Facendo quindi concorrenza diretta ai giapponesi ai cui prodotti una consistente fetta dei lettori anglosassoni non è proprio interessata.
Farei due conti su una campagna promozionale fatta decentemente su un paio di media mirati e su due o tre operazioni di marketing spinto (su cui, visto che sul prodotto non è mai stato fatto niente, ci sarebbe solo l'imbarazzo della scelta), a quel punto, metterei in mano ai lettori di tutto il mondo di lingua inglese un patrimonio di storie e personaggi che copre praticamente ogni genere.

Cioè, come diceva tempo fa Cuore, quando il gioco si fa duro (= il mercato del fumetto in Italia, sempre più asfittico e ormai trainato solo collaterali dei quotidiani) consultate l'orario dei treni. E il treno che sta partendo (e che non è da perdere) è quello dell'editoria elettronica su scala globale.

mercoledì 11 novembre 2009

Donne amazzoni sulla luna.

Oggi, per strani percorsi mentali e "cibernetici", mi è tornato in mente questo film del 1987: Donne Amazzoni sulla Luna uno di quei film geniali nel loro accettare di non essere niente di più che film scioccherelli e che quindi, dopo tanti anni, si ricordano ancora con piacere.

La trama: va in onda un b-movie fantascientifico (quello che da il titolo al film, appunto) solo che, per un'infinità di problemi tecnici, il film viene interrotto e sostituito con… tutto.
In pratica è come se la nostra visione fosse in mano a qualcuno che non riesce proprio a stare con le dita ferme sul telecomando e che, quindi, zompetta allegramente da un programma all'altro.
Dentro Donne Amazzoni sulla luna c'era coinvolta gente del calibro di Joe Dante e John Landis (oltre a un mare di attori famosissimi negli anni '80).

Indimenticabili, per me, Henry Silva della Squadra Cazzate (che, molto prima di Roberto Giacobbo, mirava a dimostrare con prove certe e inoppugnabili che Jack lo squartatore era… il mostro di Lockness), il film nel film Il figlio dell'uomo invisibile e quel gioiellino di traduzione che era La ragazza Giocherello del mese (in originale Pethouse Plaything, interpretata dalla modella di Penthouse Monique Gabrielle).






ps: e dopo il film c'era anche questo piccolo gioiello. Reckless youth, la storia di Mary Bown (interpretata da Carrie Fisher), la giovane alle prese con una vergognosa "malattia sociale" che in breve le rovinerà la vita.

martedì 3 novembre 2009

Mi tocca dare ragione a Issimo.


È da poco uscito Gattini, il cd con cui Elio e le storie Tese celebrano i loro vent'anni come band musicale. Il sottotitolo di Gattini è "selezione orchestrale di classici nostri belli".
Le tracce del CD sono 17.

Se escludiamo quelle relative a nuove composizioni (2) e la cover di Rossini (1), le altre tracce (tutte reinterpretazioni in chiave orchestrale di brani già presenti in altri album della band) sono così distribuite: 3 tracce da "Elio samaga…", 5 tracce da "Italyan, rum casusu…", 1 traccia da "Eat the phikis", 1 traccia dalla colonna sonora di "Tutti gli uomini del deficiente", 1 traccia da "Craccracriccecr" e 3 tracce da "Cicciput".

In pratica, in una selezione orchestrale dei "classici loro belli" gli Elii hanno deciso di includere brani tratti da tutti i loro album tranne uno: "Studentessi".
Cioè come a voler dimostrare che aveva ragione a Issimo che, qui in studio, fin dal primo ascolto, ha sempre sostenuto che "Studentessi" era un album mediocre, in assoluto il peggior album di Elio e le storie tese.

Io al tempo lo difesi (l'album) ma, alla luce dei fatti, mi tocca dare ragione a Issimo…

Renan's bulletin of the week.

Renan è stato bravo a inviarmelo ieri, ma io sono pigro e lento e, quindi, lo posto qui solo oggi.

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Ciao a tutti,
anzitutto una segnalazione importante: a fine mese viene inaugurato il Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso in Corso Galileo Galilei, 22 a Torino (www.museounito.it).
All'inaugurazione sarà presente anche il nipote novantaduenne di Lombroso, docente di neurologia ad Harvard. Qui è poi possibile visitare il Museo di Pomologia, con una delle collezioni più belle del mondo e soprattutto il Museo di Anatomia Umana "Luigi Rolando", fornitissimo di pezzi tra scienza e arte, volutamente lasciato scuro e labirintico: è come fare un salto nel tempo di 150 anni, davvero grande suggestione.
Torino si conferma la città più viva e sorprendente d'Italia (se andate, non mancate il MAO, un capolavoro).

Questa settimana ho segnato queste cose:

- 5 (gio) Gender Bender 09, presso Cassero, Via Don Minzoni 18, BO, h 23
1 minute performance competition
(Le performance sono 22, il programma della manifestazione, che dura una settimana e comincia sempre attorno alle 20,30, lo trovate sul sito).

- 6/8 (ven-dom) Artissima, Fiera Torino, Via Bertola, 34, h 12-20 € 13
(Non è la fiera d'arte contemporanea più grande d'Italia ma è la più bella, l'unica che ha una vera e sensata partecipazione internazionale con pezzi importanti. Le iniziative, anche collaterali, sono numerose, guardatele sul sito. Come si diceva prima, anche qui Torino è in prima fila).

- 7 (sab) Performance di: Muna Mussie + Orthographe + Barokthegreat
Museo Giovanni Boldini - Palazzo Massari - Corso Porta Mare, 5 Ferrara
tel. 0532.244949, h 19
(realtà artistiche italiane sempre più affermate).

– Renan