giovedì 30 settembre 2010

Presa di coscienza (03).

È tempo di prendere coscienza che, a ognuno di noi, l'universo rivela in un preciso istante che siamo tutti a bordo di un'auto che sta caracollando in discesa verso il precipizio. E l'autista è in coma etilico.
Il mio è stato anni fa, quando un manager che guadagnava al mese 15 volte più di me, mi mostrò con grande serietà degli skateboard per le dita; mi disse che di lì a poco la ditta per cui lavorava selezionando idee in giro per il mondo, avrebbe investito un sacco di soldi su questa che lui definiva un'invenzione geniale.
Per cui oggi, guardando il boom dei braccialetti elastici in edicola, come faccio a provare stupore?

lunedì 27 settembre 2010

Note in margine a prossimamente, trailer e teaser.

Nati ai tempi del "prossimamente", cresciuti nell'epoca del "trailer", io e i miei coetanei siamo caracollati senza rendercene conto in quella del "teaser".
Una volta i nostri sogni cinematografici avevamo un margine di attesa che ci avvertiva solo quando eravamo prossimi a loro. Quel margine d'attesa, dopo essere stato instradato (to trail), è finito presto per diventare molesto (to tease).

Ma questo non è un discorso del tipo "come erano belle le cose una volta" e "il tempo delle merendine non tornerà più".

Da bambino i film cominciavo a desiderarli con il "prossimamente" e ne scoprivo il mistero poco dopo al cinema.  Il desiderio era libero di vagare fino a quel momento, di immaginare senza che nulla lo disturbasse.
(Da bambini, per noi ogni racconto era possibile fino al momento della visione, anche che Chariots of Fire nascondesse una trama vicina ai romanzi di Heinlein. Bastava saperlo raccontare. Bastava saperselo raccontare.)
La prossimità faceva sì che questo tempo dell'invenzione non dilagasse, che fosse limitato al "poco prima" così da lasciare spazio anche alle altre cose del mondo.
Sognavamo e desideravano in una dimensione socialmente gestibile.
Forse per questo non ricordo brutti film visti da bambino. Forse per questo allora non mi sembrava strano che d'estate non ci fosse il cinema.

In un passato recente era già come se ci fosse lo scatto del scambio ad avvertirmi che era tempo di cominciare a desiderare, costretto da lì in poi a viaggiare sui binari del cosa desiderare e del come farlo.
I binari sono espressione di un'industria comunicativa apparentemente più complessa e, invece, solo più strutturata. Una macchina dal cofano trasparente che ci obbliga a guardare il motore di una cilindrata sempre più grande.
Quel motore, piano piano, erode il mistero e, con il nostro consenso, lo monetizza, facendo del futuro merce dalla forma perfettamente collocabile sugli scaffali dell'oggi.

E oggi arrivo di fronte al film che sono già stanco di questa nuvola molesta di informazioni che mi ronza attorno per mesi e mesi (e a volte anni), che sta lì sempre presente perché io non mi dimentichi mai che qualcosa, in un domani non specificato, deve succedere, che mi chiede di ipotecare la mia attenzione futura in virtù di piccole soddisfazioni quotidiane.

Il "prossimamente" è espressione di un mondo che non ha paura del futuro e, per questo, non ha bisogno di evocarlo continuamente. Il futuro, per sua natura, viene da sè, senza bisogno che noi pensiamo a lui. Come la morte che, anche se non sembra, è connaturata nel desiderio. Il desiderio che, riempiendo la vita, ci fa pensare erroneamente che questo ci conduca più velocemente alla morte.
E la strada verso il desiderio non fa paura quando siamo certi che c'è un mistero ad attenderci.

Il "trailer" esprime un'epoca che cerca di esorcizzare il manifestarsi delle prime ansie giocando la carta del controllo, che vuole rendere meno pauroso il desiderio instradandolo, che vuole rallentare il desiderio perché la corsa verso la morte duri più tempo possibile.
(È l'espressione di un mondo che viaggia con il freno a mano tirato, Indiana Jones nella miniera dei thug che tenta di fermare il carrello lanciato verso l'abisso.)
Perché qualcuno o qualcosa ci ha fatto intuire che in fondo alla strada non c'è nessun mistero, che il fine corsa è solo fine.
E allora che tutto, prima di quel momento, sia perfettamente gestito e preparato, perché non sia mai che l'ultimo momento colga inaspettatamente la nostra vita vuota di senso.

La logica del teaser è la logica dello spegnere il fuoco con il fuoco, di fare scomparire il desiderio alimentandolo continuamente.
(Mio nonno si arrabbiava quando noi bambini stuzzicavano il fuoco. Il fuoco, una volta acceso, andava lasciato bruciare. Stuzzicarlo era l'equivalente laico di un peccato.)
Il teaser capitalizza continuamente il desiderio perché, ora che l'ha privato del mistero, non sa più come gestirlo. Il teaser è come un bambino che chiede al genitore di confermargli che il futuro esiste.
È l'espressione di un mondo in cui la paura che un domani non ci sia è talmente forte da far sì che esso metta continuamente in scena oggi quel domani. Quegli infiniti domani rappresentati in piccolo, in scala ridotta, come la vita cittadina nel plastico di Beetlejuice.
Un rito quotidiano il cui risultato è alimentare la stessa paura che vorrebbe scongiurare. La forma di un desiderio appiattito sulla logica della merce che, da sempre, deve diventare capitale prima che si deteriori.

venerdì 24 settembre 2010

Mi manca John Byrne.


(No, non è morto. Quello è il blog di Voglino)

Sì, mi manca un sacco il suo segno, la sua capacità di giocare con il fumetto (che in Italia non sia mai esistita una raccolta in volume del suo strepitoso ciclo di storie di She-Hulk è uno dei tanti indici della rozza ignoranza del nostro mercato editoriale) e, soprattutto, mi manca la sua inequivocabile tendenza ad essere un rompicoglioni.
Anche per questo sono felicissimo che la casa editrice 001 pubblicherà prossimamente in 6 volumi tutta la saga dei Next Men.

Torna presto John!

(...anche se sono quasi convinto che Byrne, a giudicare da una certa somiglianza, si sia riclonato in Robert Kirkman e che Wilson di Daniel Clowes sia una cronaca a fumetti di che cosa è successo al nostro in questi ultimi anni di invisibilità editoriale)

giovedì 23 settembre 2010

La membrana permeabile.

Paul e Gina, seduti di fronte, parlano. Parlano dei problemi di Paul, li affrontano con l'analisi di Gina. Gina non è mai esterna al dialogo. Non può fare bene il suo lavoro se resta esterna. E non può restare esterna di fronte a Paul che conosce così bene e da così tanto tempo. Di fronte a Paul a cui vuole bene.

Come spettatori della serie tv noi abbiamo il privilegio di essere ammessi a quel dialogo altrimenti segreto. Ma a un patto: che nemmeno noi restiamo esterni ad esso.

E così, anche se tutto nasce da Gabriel Byrne e Dianne Weist che recitano seduti uno di fronte all'altra inquadrati da varie cineprese, la loro recitazione è così ben fatta che gli attori scompaiono e restano solo i personaggi e i loro fili di storia.
I fili li tira l'arte degli attori che sono capaci, nello stesso tempo, di essere presenti ed assenti. Di farsi permeabili al personaggio e alle emozioni del pubblico nei confronti di esso, come a tornare alle origini della messinscena teatrale del racconto.

In treatment si basa tutto su questo equlibrio osmotico che ogni medium narrativo ha il suo modo unico di raggiungere.

Nella nostra televisione, invece, gli attori, anche quelli bravi, non riescono quasi mai ad essere permeabili. Sono continuamente opachi al nostro sguardo sulla narrazione, appiattiti in un contesto narrativo che è fatto solo di particolari giustapposti, mai di dettagli di vita.

E così noi continuiamo a guardare loro senza provare nulla per i personaggi. E così loro continuano ad interpretare personaggi di cui gli sfuggono continuamente i fili.

mercoledì 22 settembre 2010

Presa di coscienza (02).

Ci posso fare poco: sarà il richiamo delle radici, ma a me il personaggio del rapper majeratese MC Silvano di Max Giusti mi fa sempre spuntare un sorriso.
Per ricollegarmi al post precedente, ne prendo coscienza.

lunedì 20 settembre 2010

Presa di coscienza (01).


È tempo di prendere coscienza del fatto che un grande numero di italiani trova divertente l'umorismo di Giorgio Panariello.

lunedì 13 settembre 2010

Salsapariglia.

Ciao Sofia. Mi chiamo John Milius e sono un amico di tuo padre. Io e lui abbiamo lavorato un paio di volte insieme.
È tuo padre che mi ha detto di passare a trovarti. Ieri abbiamo visto il tuo ultimo film e, alla fine, nessuno dei due aveva dubbi che ti servisse uno sceneggiatore.
E quindi eccomi qui.

Ora, vero è che le Vergini Suicide mi avevano lasciato al proverbiale palo (l'ho visto in dvd ma ti confesso che, verso la metà, mi sono alzato dal divano e ho cominciato a lavare i piatti) però tuo padre sosteneva che dovevamo avere fiducia in te.
E infatti con Lost in Translation mi è sembrato che avessi azzeccato quella che i critici chiamano la cifra stilistica. Mai capito cosa fosse la cifra stilistica di un regista ma in giro leggevo che tu ce l'avevi. Secondo me gran parte del merito era della faccia da clown triste di Bill Murray ma, fatto sta, che in quel film le cose funzionavano.
E quindi da Maria Antonietta mi aspettavo grandi cose ma alla fine, a parte le scarpe da tennis alla corte di Luigi XVI, tutte queste grandi cose non si sono viste.

Ma non fraintendermi: le Vergini erano ok, Lost era buono, Maria Antonietta era ok. A parte Lost, mai la proverbiale mia tazza di tè. Ma comunque ok.
Però Somewhere, Sofia... Ecco, non so bene come dirtelo...
Somewhere è una merda. Una brutta roba che oggi come oggi potrebbe invidiarti solo Wim Wenders.

Dai, la storia vuota di un attore vuoto espressione di un cinema vuoto che viene premiato da una tv vuota?
Ti renderai conto anche tu che girare una storia sul vuoto non significa girare un film vuoto.
E il tuo film, Sofia, è un film vuoto.
Cazzo, è talmente vuoto che Valeria Marini riesce per la prima volta ad avere un senso (dai tempi del film con Bigas Luna, intendo).

A questo punto potevi trasformare tutto in una vera provocazione e fare 2 ore di schermo nero (un passo oltre Derek Jarman: solo rumori ambientali). Forse così un senso ce l'avrebbe avuto. E soprattuto ci saremmo risparmiato quel finale imbarazzante.

No, no Sofia. Non ci siamo.
L'auto veloce costretta a girare in tondo, l'attore senza faccia immobilizzato sotto la maschera, le chitarre che non suonano di Guitar Heroes, la noia del sesso sublimato delle lap dancer, gli sms di insulti senza risposta, la paranoia dei SUV dei paparazzi.
Tutto bello, ma la torta non si fa con la salsapariglia.
Io gliel'avevo detto a tuo padre che era questo il rischio insito in Lost, la deriva di una narrazione che flirta con il grado zero del racconto. Ma tuo padre non è più quello di una volta e Segreti di famiglia lo ha ampliamente dimostrato.

Credimi Sofia: ti serve uno sceneggiatore. Se vuoi ti diamo una mano io e Crepascolo.

* Post scriptum: leggo che a Venezia ti hanno premiata con il Leone d'Oro. E ciò è segno che uno sceneggiatore non serve più a nessuno. Ok Crepascolo, torniamo a lavorare sul sequel di Alba Rossa...

venerdì 10 settembre 2010

Note in margine al falò.


Il reverendo coso (50 fedeli) capisce che per avere l'attenzione di questo mondo confuso basta dire che brucerà una copia del Corano.

Il Ministro dell'Inutile Calderoli dà fuoco a un muro di carta che, nella sua mente cotonata, dovrebbe rappresentare le leggi inutili.

Ausonia da fuoco a 250 tavole di fumetti, dice per vincere una scommessa con il suo editor mentale.

Linda rischia di mandarmi a fuoco il terrazzo con una cicca di sigaretta.

Di questi tempi pare che il falò vada alla grande.

Eppure a quello della Festa dell'Unità c'è meno fila degli anni scorsi...

giovedì 9 settembre 2010

Maître à penser.


Ogni volta che viene fuori il discorso sulla cultura in Italia come esclusiva del pensiero di sinistra, c'è sempre qualcuno che dice che non è vero e, a riprova di ciò, cita Marcello Veneziani come esempio di cultura di destra.

Mi domando, ma è lo stesso Marcello Veneziani autore di QUESTO bell'articolo su O' Silvio Re uscito oggi su Il Giornale?

Leggetelo. È uno dei pezzi più comici dell'anno, da stampare e incorniciare con sotto la dicitura "cazzo se siamo alla frutta" (non so se a me piace di più il punto in cui parla dei poveri Reali italiani costretti a fuggire, quello dove dice che gli italiani schifano il parlamentarismo e amano il presidenzialismo – comunque meno della monarchia – oppure la chiusura sulla piramide di monarchie. Che cosa scontata ribadire che la politica deve rispondere al popolo. E non certo quello che, secondo Veneziani, dovrebbe eleggere un monarca).

Aridànghete...

Puntuale come le tasse, qualche giorno fa mi permetto di (ri)fare una domanda sul forum di ComicUs e, tac!, ecco che qualche illuminato moderatore ha la bella idea di buttarmi fuori per un po'.

La motivazione?

Mi viene sospeso fino a domenica l'account per  (cito) "le insinuazioni e il comportamento" all'interno di un topic in cui si discuteva dell'acquisizione da parte della neonata casa editrice Bao Publishing di Neonomicon, la nuova (e forse ultima) opera a fumetti firmata da quel geniaccio di Alan Moore e pubblicata negli USA dall'editore Avatar.

Insinuazioni?!

Comportamento?! (del tipo…?)

Piccola ricostruzione dei fatti (a uso e consumo esclusivo di chi tra voi, miei 5 lettori e 1/2, ama annoiarsi con tediose questione di dietrologia editoriale).

Tutto parte da qui: relativamente all'acquisizione di cui sopra, Lo spazio Bianco sbandiera con orgoglio QUESTA notizia.

L'autore del pezzo, Guglielmo Nigro, scrive: "La notizia è piuttosto sorprendente. Finora Moore è stato pubblicato nel nostro paese da Magic Press ed Edizioni BD. Quest’ultima sarebbe stata prevedibilmente l’etichetta privilegiata per Neo­nomicon, vista la recente e consistente pubblicazione di titoli Avatar Press. (...) Possiamo immaginare che la contesa del titolo di Moore vinta da Bao sia stata disputata tra diverse parti.
In un periodo di grandi incertezze editoriali in Italia (...), di crisi di vendite generalizzate, di piccoli editori che fati­cano ad arrivare alla fine del mese, la notizia fa quanto meno riflettere. Investire in pubblicazioni estere è certamente più sicuro che produrre fumetti italiani da zero. Ma se, come si può immagi­nare, l’acquisto dei diritti di un titolo come Neonomicon significa esporsi a un investimento consi­stente, questo significa ridurre il proprio margine di guadagno.
(...) C’è poi la possibilità che l’iniziativa di Bao Publishing abbia anche un significato interno delle dinamiche editoriali italiane, come evento esemplificativo della volontà della nuova casa editrice di imporsi con forza sulla scena.
Si tratta del classico passo più lungo della gamba o di una scelta ponderata? Qual è il senso di una guerra dei diritti in un periodo di vacche magre?"



In breve, è lo stesso Nigro ad esprimere nel suo pezzo delle perplessità e a porre delle domande sui meccanismi che hanno portato la neonata BaoP all'acquisizione di questo titolo potenzialmente appetibile per molte case editrici ben più blasonate di lei.
Tanto che Ettore Gabrielli, direttore de Lo Spazio Bianco, alla domanda di un utente del forum di ComicUs ("C'è stata una vera "guerra dei diritti" o lo presume solamente Spazio Bianco?"), si sente in dovere di rispondere: "Diciamo che è una facile presunzione..."


A questo punto, ecco che arriva la mia "insinuazione" (e il "comportamento" di non si sa bene quale tipo).

Quale?

Semplice!
Intervengo subito dopo Gabrielli e scrivo: (cito le mie testuali parole) "In queste cose, per capire il come e il perché, quello che bisogna sempre domandarsi è: Chi paga?"

Dove sta l'insinuazione in questo?
Qual è il comportamento da sanzionare?
Non ho detto che qualcuno ha rubato qualcosa a qualcun altro.
Ho più semplicemente sottolineato che, condividendo le domande che si era fatto Nigro de LSB, per dar loro una risposta fosse necessario capire "chi paga" operazioni di questo tipo.
È la regola base del giornalismo anglosassone: follow the money. Ossia, chi paga?

E lo ribadisco: chi paga?

Perché la mia esperienza sul campo – poca, per carità, ma comunque ormai decennale – mi ha insegnato che operazioni del genere su autori di spicco (Moore come Gaiman, che pure a me come ad altri risultava esclusiva di Mondadori e invece anche lui entrato con un titolo nel catalogo BaoP) forse si possono anche portare a casa ma, di sicuro, devi avere un nome da mettere sul tavolo (meglio: un nome per poterti sedere a quel tavolo) e dei soldi per pagare la abbastanza facilmente presumibile – come dice anche Gabrielli – gara al rilancio.

La cosa triste è che, in seguito al mio post (che, lo ripeto, uno può vederci dietro quello che vuole ma, alla fine, conteneva soltanto una domanda legittima), è iniziato un balletto di altri post in cui si cercava di farmi dire qualcosa che, evidentemente, se avevo scritto una cosa del genere, io dovevo sapere; qualcosa che, nello stesso tempo, dimostravano di sapere bene soprattutto coloro che, tra gli addetti ai lavori, mi chiedevano di spiegare il senso criptico della mia domanda.
"Ciccarelli, non essere sibillino: se sai parla!"
"Ciccarelli, parla, che tanto lo sappiamo tutti a che cosa ti riferisci!"
Cazzo, lo dicessero loro se sono tutti così bene informati!
E sanzionassero loro per le insinuazioni!

Un balletto in cui, ci tengo a sottolinearlo, si sono distinti i toscani della casa editrice Double Shot, pare ormai veri gestori con potere assoluto di veto all'interno di quello spazio di discussione (senza che però non sia mai stato ufficializzato questo loro ruolo non certo aldisopra delle parti).
Ormai la loro prassi – e non solo nei confronti del sottoscritto– è consolidata: se un topic diventa particolarmente "caldo", prima sfanculare, poi stigmatizzare, in seguito, se le domande continuano, espellere il presunto provocatore (tipo… me, che a questo giro mi sono beccato pure dell'invidioso dal loro Presidente) e poi annacquare il tutto in una pagina o più di fregnacce e cazzatelle mirata a far cadere l'argomento nel dimenticatoio.
Bella gente davvero (che tanto non lo cosa dirà? "Guarda che ti sbagli: noi non possiamo decidere nulla in merito a queste cose". Ma, guarda caso, sono gli stessi che hanno un presenzialismo sul forum da far paura e, in un modo o nell'altro, sono sempre lì pronti ad intervenire quando esce fuori un qualsiasi argomento più o meno caldo).

Lo ripeto: io ho fatto una domanda che era la stessa che si era posta lo Spazio Bianco (anzi: l'argomento l'aveva introdotto proprio LSB) ma quello bannato, tanto per cambiare, indovinate chi è?

Se ho insinuato qualcosa – e mi sospendete l'account perché avrei insinuato qualcosa – a parte che dovreste se non sanzionare almeno redarguire anche LSB (le loro supposizione su che cosa erano basate?), almeno dimostrate di non essere così pessimi come io vi immagino dicendolo che cos'è questo qualcosa che io avrei insinuato.

Altrimenti, come ha sottolineato qualcuno, dimostrate solo che sul forum di ComicUs siamo arrivati al processo alle intenzioni e che, al di là che rispettino o meno il regolamento del forum, gli argomenti che possono essere discussi lì dentro sono solo quelli che decidete voi.

venerdì 3 settembre 2010

Assemblea permanente?

È l'argomento degli ultimi mesi nella blogosfera del fumetto italiano: la tavola rotonda che si svolgerà a Lucca durante la prossima Lucca Comics & Games e in cui si cercherà di fare il punto della situazione sullo stato del fumetto in Italia dal punto di vista dei rapporti tra autori-sistema editoriale.

Se ne è fatto promotore Claudio Stassi il quale, insieme ad un manipolo di suoi colleghi autori (tra cui il qui spesso citato Michele Petrucci che, col suo blog, ha portato avanti la riflessione on-line), ha proposto l'idea di questa tavola rotonda che, come sempre, ad alcuni piace e ad altri no (e questi ultimi io proprio non li capisco e soprattutto non capisco il loro accanimento a voler dimostrare a priori la fallimentarietà dell'iniziativa e, quindi, a sfancularla. Mah…)

Porterà a qualcosa questa tavola rotonda? Chi lo sa?
Io intanto registro che un momento di confronto che esca dagli schermi dei computer e permetta alle persone di incontrarsi, di parlare della propria situazione e di ascoltare quella altrui è sempre qualcosa di positivo.
Anzi: quello che invece registro come dato assolutamente negativo è che, in un momento simile, sembra che siano solo gli autori a sentire l'esigenza di incontrarsi e di confrontarsi, mentre il resto del sistema editoriale (editori di varia grandezza, distributori e librai) non dimostra alcuna volontà di fare insieme il punto di una situazione imprenditoriale ogni giorno più difficile da gestire.

Comunque sia, io plaudo l'iniziativa di Stassi & co e, come unico piccolo contributo ad essa (oltre all'argomento già introdotto QUI che continuo a ritenere centrale per provare a capire alcuni dei motivi che stanno dietro all'attuale crisi), propongo di trasformare la tavola rotonda (davvero troppo "piccola" per anche solo tentare di contenere la massa di contributi che vi si riverseranno) in un'assemblea permanente che copra tutti e 4 i giorni della manifestazione lucchese (e magari, da lì, si faccia davvero "permanente" diventando itinerante attraverso le varie manifestazioni).

"Assemblea permanente" sembra una parola d'altri tempi (e chiaramente lo è) ma cosa c'è di male a recuperare qualcosa che, in passato, è stato utile a raggiungere certi obiettivi?
Credo che da qualcosa del genere potrebbe uscire un'analisi approfondita su ciò che sta succedendo nel mercato del fumetto italiano e magari anche qualche idea più strutturata per affrontare la situazione attuale.
Non so se sarebbe qualcosa di rivoluzionario o di "appetibile" per i media (in certe cose i "dipende" sono d'obbligo, mentre "sicuramente" le "memorie storiche" del fumetto italiano saranno già pronte a dire che esperienze simili sono già state tentate senza alcun risultato) ma so che sarebbe bello per dare senso al lavoro che ognuno che si muove nel mercato editoriale fa e, cosa non di minore importanza, per recuperare un aspetto che TUTTE le fiere di fumetto italiano hanno perduto in nome di un pensiero "bancarellaro" pressoché dominante.

Quattro giorni di discussione e confronto senza limiti di tempo e di luogo sarebbe davvero qualcosa di vitale per il fumetto, il segno che gli autori si incontrano a Lucca perché consci del fatto che, in questo momento, confrontarsi sulla situazione del proprio lavoro è la cosa centrale, la PRIMA cosa da fare.
E se una cosa è primaria e centrale per te (e soprattutto è complessa da affrontare), allora fai quella.
Niente dediche, disegnini, noiose e inutile presentazioni nei luoghi canonici della fiera (qualcuno parlava di un'impossibilità dello sciopero per gli autori di fumetto? Eccolo, è questo).

Un'assemblea permanente degli autori che ponga di nuovo gli autori al centro di tutti i discorsi sul fumetto: a una Lucca del genere credo che, dopo tanto tempo, mi interesserebbe partecipare.

(consiglio a margine a Claudio Stassi & co.: trovate quanto prima un NOME ed un LOGO per la vostra iniziativa)

mercoledì 1 settembre 2010

La politica? Una tragedia.

Bersani spinto a sbilanciarsi in qualcosa... dal Coro Greco.
Geniale.

Lost: ultima stagione.

Vabbè, ne abbiamo già viste 5, guardiamoci anche le sesta.

Per adesso ho visto solo un paio di puntate, ma la sensazione è che, rispetto all'inizio, l'effetto Chiquito y Paquito sia aumentato esponenzialmente, diventando abbastanza intollerabile.

Cioè, metteteci dietro le Hawaii e ditemi voi se non è lo stesso:



Comunque sia, andiamo avanti e scopriamo se sono tutti morti o no...