martedì 20 dicembre 2011

Bevi che ti passa.

Rappresentare la depressione non è facile, anche perché spesso rappresentare diventa spettacolarizzare.
Niente di male nello spettacolarizzare la depressione (solo recentemente, al cinema, l'ha fatto Lars Von Trier con Melancholia e, con minori risultati, Paolo Sorrentino con This must be the place. Di entrambi mi sarebbe piaciuto parlarmene quando era tempo ma... cazzo, chi si ricorda più cosa volevo dire?) ma, se qualcosa può essere oggetto di spettacolo, quasi automaticamente diventa anche oggetto commercializzabile.

E se oggi, caduto il dogma dell'unicità terapeutica, per tanti motivi esiste quello che viene definito "mercato delle psicoterapie", perché stupirsi che un sottotesto depressivo possa essere utilizzato per vendere una merce?

Lunga premessa per parlare del recente spot Ferrarelle con protagonista Gianluigi Buffon.
Grazie a fratello youtube, lo vediamo qui sotto:



Gianluigi Buffon è più o meno l'icona contemporanea del portiere (credo insieme a Dino Zoff e Walter Zenga. Ovvio, appiattendo la realtà calcistica mondiale su quella italiana...) anche perché, tra una cosa e l'altra, mi pare che sia stato eletto per diverse volte "miglior portiere mondiale dell'anno".

Come soprannome Buffon si porta dietro quello che, a lungo andare, a molti potrebbe dare una certa ansia da prestazione: Superman. Altre volte invece è più semplicemente IL portiere, concetto sul quale ruota lo spot di Ferrarelle.

Com'è, come non è, un giorno IL portiere decide di regalare al mondo la sua biografia.
La scrive con l'aiuto del giornalista Roberto Perrone e decide di intitolarla "Numero 1".
Più o meno il tema del lancio del libro è "Ok i successi e le super parate ma, lontano dai flash e dalle telecamere, anche i numeri 1, i Supermen, sono vulnerabili: e infatti anche Gigi Buffon, nonostante i tanti successi che gli ha regalato una vita invidiabile per ognuno di noi miseri mortali, sapete, anche lui è stato vittima... della depressione".

E da lì Buffon è un po' diventato una delle italiche icone della depressione, la figurina che ancora ci mancava nell'album: quella del ragazzone solare (e un po' fascio) che ha tutto e che, nonostante ciò, si ammala di depressione ("sei mesi e poi, grazie alla terapia, è passata", si affretta a chiarire Buffon. Vabbè...)

E da qui arriviamo allo spot Ferrarelle.

Lo spot è raccontato da Alena Seredova che, pur definita ironicamente nel filmato la personal trainer di Buffon, in realtà è la compagna del super portiere (il che già la dice lunga sull'idea di rapporto tra uomo e donna che questo spot ci invita a condividere).
Ora, anche se nel filmato la vediamo vestita un po' da suora laica (meglio: il maggior grado di suoralaicità che si può appiccicare al corpo della Seredova senza bisogno di invocare la sospensione di incredulità), nell'immaginario collettivo Alena Seredova è altro.

Per capire qual è questo "altro" dell'immaginario collettivo, oggi basta chiederlo a zio Google.
E la risposta è più o meno questa:


Insomma, questo è il setting che lo spettatore ha in in mente nel momento in cui affronta lo spot, l'orizzonte narrativo su cui si appresta a prendere forma l'epica in 30 secondi con protagonista l'eroico difensore dell'area di rigore e la sua bella dalle voluttuose grazie.

E che cosa ci racconta questo spot?
Ci racconta – per voce di chi, come la Seredova, conosce sicuramente Buffon meglio di chiunque altro – che il portiere Superman, un bel giorno ci è entrato talmente dentro al suo ruolo di portiere da avere ad un certo punto un po' sbroccato e, da uno che di lavoro faceva il portiere, è diventato un portiere che è un portiere in qualunque cosa faccia.
Sai, capita se non smetti mai di lavorare.
Come un falegname che un giorno torna a casa e si mette a piallare tutti i mobili o un somellier che, al supermercato, improvvisamente non può fare a meno di assaggiare tutto lo scaffale dei vini.
Alienante, vero?

Cioè, punto uno: la depressione ti fa deragliare dal tuo ruolo nel mondo. Non cancella chi sei ma lo gonfia fino al parossismo.
Fa di te una maschera, magari quella del buffon...e (che, appunto, in inglese è il fool).
Una maschera che, se pure ha incisi tutti i segni necessari per ricostruire l'identità del soggetto che c'è sotto di lei, in modo grottesco denuncia pure tutti i sintomi di un'inarrestabile fallimento dello stesso soggetto.
Perché, si sa, le porte (che anche lo spot cita) aprono a mondi possibili e si spalancano su stanze della mente in cui si può entrare senza più riuscire ad uscirne (come sapeva bene Kubrick quando ne infilava un centinaio nel suo Shining).

Insomma, il Superman esploso nella depressione sta lì, nel suo mondo tutto up (e infatti, a un certo punto, nello spot si parla proprio di esaltazione) fino a che, come in ogni sindrome bipolare che si rispetti, improvvisamente il sole si oscura e lì, in mezzo al campo di calcio della vita, arriva il down.
Ovvero, il super-portiere si trasforma in uno che non riesce più nemmeno a prendere al volo una bottiglietta di plastica e, con grande imbarazzo suo e altrui, mette in scena lo spettacolo dell'improvvisa incapacità di vivere il proprio ruolo nel mondo (primo segno: non riuscire più a svolgere quel lavoro in cui, fino a ieri, si identificava e che per lui era facile e spontaneo fare come... bere un bicchier d'acqua).

Accorrete, pubblico. Venite ad ammirare con i vostri occhi il tremendo spettacolo dell'uomo imbattibile messo in ginocchio da un nemico forse più grande di lui.
L'orrore, l'orrore...

Ma ecco spuntare la donna (in realtà più madre che compagna), la madonna semi-angelicata di cui qualsiasi grado di colorata aggressività erotica è stato sbiadito in un'ininterrotta gamma di innocui grigi.
Ecco che, dagli spalti della vita in stile Grease, questa moderna Sandy interviene nel racconto a tirare fuori per i capelli l'amato Danny dal pantano in cui è finito. Because, you're the one that I want, uh uh uh...
Abbiate fiducia in lui, ci dice la donna, perché lo smarrimento del mio (e vostro) eroe è momentaneo:  basta avere un po' di pazienza e aspettare il terapeutico sorso lungo (o breve, a seconda dei punti di vista) sei mesi, e hoplà, sullo squillo delle epiche trombe di 90° minuto, ecco che l'eroe risorge dagli abissi della depressione e ritorna a noi, forse ancor più imbattibile di prima.
Non più liscio/down, ma nemmeno più gassato/up.
La cura per lui (e per noi, obiettivo ultimo di questo raccontino morale proiettato sulle pareti catodiche della nostra platonica caverna) è il riallineamento su una salutare medietà.

La depressione è svanita. Sconfitta, umiliata. Superman ha vinto. Lunga vita a Superman.

Ma, purtroppo, Superman non lo sa che la tv è il luogo della rappresentazione nevrotica per eccellenza.
Non lo sa che nella tv ognuno è costretto a rivivere all'infinito ogni storia che ha già vissuto, che la tv è una stanza di specchi (che riflettono specchi, grazie al moltiplicarsi sulla rete dello spettacolo televisivo) dove, nello spazio tra uno stacco pubblicitario e l'altro, ogni personaggio è eternamente condannato ad essere chi è già stato.

Perché forse, dopo la storia dell'acqua del super portiere, andrà in onda quell'altra dell'acqua del fiume dell'oblio.
L'acqua (del) Lete, appunto,


mercoledì 9 novembre 2011

Nirvana.

Povera Panini... Gli cambia il Premier proprio quando lanciano Nirvana, la serie a fumetti di Pagani & Caluri (quelli di Don Zauker) che lo vede coprotagonista nel ruolo del nano credulone e fotti-pecore.
Diciamocela: questa è sfiga. Bella e buona.

A parte l'atto di coraggio che va riconosciuto ai Lupo-boys (probabilmente gli alti vertici modenesi non hanno letto cosa stavano per pubblicare: un primo numero tutto dedicato alla sodomia a go-gò e alla presa per il culo feroce delle alte sfere politiche incarnate dall'uomo di Arcore) e anche se la struttura temporale della storia non è chiarissima e le gag a volte sono messe ko da una certa mancanza di sintesi, va detto che alla fine dell'albo resta la voglia di leggere la prossima uscita per saperne di più del losco Ramiro Tango e dei suoi rapporti con tale Carlos Ronson che pare siano alla base di ciò che racconterà questa serie.
Anche perché il segno di Caluri è sempre bello da vedere, soprattutto quando si accanisce a disegnare i peli e le rughe sulla zucca del piccolo Premier.

Scherzi a parte, il tentativo di Panini Comics di addomesticare un minimo la ricetta di Don Zauker per creare una nuova testata comica maggiormente narrativa (potremmo dire dalle parti del Garth Ennis più caciarone) da affiancare alla loro hit di vendita Ratman è interessante.
Vediamo se le vendite lo premieranno.

lunedì 7 novembre 2011

Decadancing.


Fossati mio, che gran brutto commiato dalla scena musicale che ti sei scelto.

Certo, se con questo album ci volevi comunicare che è l'ultimo perché in questa forma non hai più nulla da esprimere, tranquillo: il messaggio è arrivato chiarissimo.

Basti dire che la migliore tra le dieci tracce è quella scureggetta a zampa d'elefante che più o meno da il titolo all'album (e che qui sotto potete ammirare nella solita, squallida, marchetta da Fabio Fazio che vale la pena guardare solo per domandarsi: "ma che cazzo ha tanto da agitarsi quel tarantolato del bassista panzuto?"):



sabato 29 ottobre 2011

Noia.

"Ho imparato che il mondo degli uomini così com'è oggi è una burocrazia. È una verità ovvia, certo, per quanto ignorarla provochi grande sofferenza. (...) La chiave burocratica alla base di tutto è la capacità di avere a che fare con la noia. Di operare efficacemente in un ambiente che preclude tutto quanto è vitale e umano. Di respirare, per così dire, senz'aria. È la chiave della vita moderna. Se sei immune alla noia, non c'è letteralmente nulla che tu non possa fare."

David Foster Wallace

venerdì 28 ottobre 2011

Aspettando Tintin.


Titoli di testa fan-made. Autore tale James Curran.
Steven Spielberg vede il filmato, invita Mr. Curran all'anteprima londinese del film e lì gli propone di partecipare al suo prossimo progetto.
Il solito, caro, vecchio american dream...

The Rocketeer: repliche e Mollica.

E, visto che nel post precedente si parlava di The Rocketeer, se avete 6000 dollari che vi avanzano e il vostro desiderio segreto è quello di indossare i panni dell'eroe creato da Dave Stevens, date un'occhiata QUI.

Se invece di soldi da spendere non ne avete (ma avete un paio di minuti), vi potete vedere QUI la puntata dello scorso 1 ottobre della rubrica Doreciakgulp in cui Vincenzo Mollica, abbondando in inquadrature di natiche disegnate da Stevens (me l'ha fatto notare mia mamma), segnala la nostra edizione del libro.

giovedì 27 ottobre 2011

Rrobeteer reprise.

E dopo lunga attesa, la proverbiale seconda scarpa cade e il Rrobe nazionale finalmente recensisce QUI anche il secondo volume del nostro The Rocketeer.
E pure stavolta sembra che gli sia piaciuto.

Però, per quello che riguarda la seconda parte della recensione, mi sento però di dover dare delle risposte a quello che Roberto scrive: la ARTIST'S EDITION di IDW (l'editore USA di The Rocketeer) di cui parla lui, anche se è davvero bellissima (è un volume da 100 dollari contenente tutte le tavole originali disegnate da Stevens, scansionate e stampate in grande formato), non contiene materiali extra e ovviamente è in bianco e nero (senza contare che pubblicare la scansione delle tavole originali di Stevens cancellando il lettering originale per metterci la nostra traduzione credo che tutti concorderanno che non avrebbe avuto molto senso).
I materiali extra che esistono sono tutti quelli che abbiamo pubblicato noi e provenienti dalla COMPLETE DELUXE EDITION di IDW.
La nostra edizione, infatti, è la Complete Deluxe Edition di IDW (e, per esplicita richiesta di IDW e degli eredi di Stevens, nella nostra edizione non potevamo escludere nessuno dei materiali extra di quella USA) e quindi se, come scrive Roberto, il volume "non è così completo, ricco e esaustivo come lo avrebbero voluto gli appassionati di questo autore", con buona pace di ciò che vorrebbero gli appassionati del lavoro di Stevens, noi non sappiamo davvero che farci: quello che esiste è stato pubblicato senza lasciare fuori nulla.
Le uniche varianti che ci sono state concesse sono state quelle di dividere il volume americano in due volumi, di cambiare leggermente il formato in larghezza, di rilegare i volumi con brossura e bandelle e – a mio avviso – di stamparli su carta migliore di quella usata da IDW.
Ora, i nostri 2 volumi complessivamente costano 49 euro mentre la Complete Deluxe Edition costa 75 dollari.

Diverso il discorso su un'edizione economica del libro che Roberto suggerisce e che effettivamente stiamo valutando insieme a qualche altra iniziativa mirata a proseguire il discorso iniziato sul recupero dell'arte di Dave Stevens.

domenica 9 ottobre 2011

E via che si va...

Mentre blogspot spara sul web questo post opportunamente preparato e caricato a molla qualche giorno fa, il sottoscritto dovrebbe essere da poco decollato da Milano Malpensa alla volta di Mombasa (Kenya) e, da lì, dopo un paio d'ore d'auto, finalmente a Watamu.

Al mio fianco, adeguatamente sedata per affrontare le circa 8 ore di viaggio aereo, Linda che – ci metto la mano sul fuoco – sarà il vero spettacolo di questo viaggio (c'è già grande attesa per il suo incontro con la giraffa, l'animale spirito-guida fin dai disegni che faceva alle elementari).

Se tutto va secondo i piani, il 24 ottobre si ritorna, sperando di non aver beccato 15 giorni di pioggia (oh come temo le brutte previsioni che sto vedendo in questi giorni...) e di aver invece goduto della splendida luce africana, quella che – chi c'è già passato lo sa bene – ti prende il cuore e te lo strizza ben benino con quel senso di "Sono in culo alla luna ma mi sento a casa..." che fino a quel momento non ti era mai capitato di provare, soprattutto in un modo così forte.
Nemmeno alla sagra della frittella a Caramagna Piemonte.

Insomma, vi sapremo dire. Voi, nel frattempo, tenete il fortino.

sabato 8 ottobre 2011

Inciampare nelle cose belle.


Che poi la verità è che se non fossi inciampato su questa paginetta qualche anno fa, credo che Watamu non mi sarebbe nemmeno lontanamente venuto in mente...

venerdì 7 ottobre 2011

martedì 4 ottobre 2011

Terranova.

Il nuovo telefilm prodotto da Steven Spielberg mette in scena la più grande paura dell'umanità: che gli americani ci siano fin dall'inizio dei tempi.

giovedì 29 settembre 2011

Billy Bat.

Urasawa-san, famo a capisse.
Hai creato una storia avvincente che dà il piacere di aspettare ogni nuova uscita della serie, un manga elegante che, con la scusa del mistery, parla del rapporto tra industria fumettistica americana e giapponese e che, pur non facendolo con nomi e cognomi, mi sa che metterà qualche puntino sulle "i" dell'annosa questione dei rapporti (e dei plagi) tra Walt Disney e Osamu Tezuka.
Come se non bastasse questo tema già abbastanza impegnativo da trattare senza cadere nell'autoreferenzialità (e quindi nella noia), in tre volumi c'hai messo dentro l'occupazione americana sul suolo giapponese subito dopo la II guerra mondiale, Gesù Cristo, la Coca Cola, la brandizzazione della società contemporanea, le lotte dei neri per la rivendicazione dei loro diritti negli USA degli anni '60, i missionari gesuiti e i ninja.
E fin qui la storia regge.
Ora, ti prego, non mandare tutto a puttane fra quattro o cinque volumi come di solito fai (sì, parlo proprio di Pluto).
Per una volta, smentiscimi nella mia profonda convinzione che sei tu il massimo rappresentante a livello fumettistico del PARFAC-pensiero.

venerdì 9 settembre 2011

NOTES 2011.

Se questo fine settimana (sabato 10 e domenica 11 settembre) capitate dalla parti di Reggio Emilia e vi va di passare a farmi un saluto, fate un salto a NOTES 2011, manifestazione presso la quale mi troverete con lo stand della salda-casa editrice.

(se vi sto le balle e non vi va di farmi un saluto, non mi sembra un buon motivo per perdersi NOTES 2011 perché... lo spiego dopo la parentesi. Su, uscite che devo chiuderla)

NOTES 2011 è una 2 giorni creata e organizzata dalla cooperativa sociale "Bottega del Lavoro".
Si svolge a Reggio Emilia, presso il parco "Legnolandia" di Via Cecati (quello di fianco al cimitero monumentale, anche se tutti i reggiani – superstiziosi – preferiscono dire "quello dietro il negozio Reggio Gas". Comunque sia, con i lavori in corso di via Cecati, è comodo parcheggiare nel parcheggione di fianco... al cimitero monumentale. E poi si raggiunge il parco tramite un viottolo. Occhio agli zombie).
La bella immagine di NOTES 2001 è dell'esimio Roberto "el peonza" Zambelloni.

Dato che il sottotitolo della due giorni di NOTES è "parole e jazz: improvvisazione letteraria e musicale", sabato (dalle 15,00 fino a sera) si parlerà di EDITORIA, con letture e presentazioni di libri (un po' per i bambini e un po' per gli adulti).
Alla sera ci sarà una cosa particolare di Aldo Gianolio a metà tra la lettura e il concerto che farà un po' da ponte tra il programma di sabato e quello del giorno successivo.

Domenica,  infatti, è la giornata dedicata alla MUSICA: dalle 11,00 di mattina fino a sera, si terranno nel parco un sacco di concerti jazz di vario tipo (swing & jive, be bop, bossa nova, modale etc.), con una jam session finale aperta al pubblico in serata.
Completano il programma della due giorni, qualche laboratorio dedicato ai bambini e la presenza di una decina di stand di varie case editrici (non solo a fumetti).

L'entrata è gratuita (concerti compresi) e mi sembra di avere capito che sarà in funzione anche un punto ristoro.

Io sono stato invitato per fare 4 chiacchiere con Massimo Bonfatti (sul suo lavoro, da "Cattivik" a "Capelli Lunghi" passando per l'appena ristampato "Leo Pulp") e per partecipare con altre case editrici (Lateral Studio, Vincent Books, Comix Comunity) ad un incontro con il pubblico in cui si parlerà di come si scelgono e si pubblicano i libri a fumetti (o, meglio, di come ognuno di noi lo fa).
Entrambi gli incontri sono sabato, quello con Bonfatti alle 17,00 e l'altro con le case editrici alle 19,00.

Il resto del programma (più qualche altra info) lo trovate QUI (o cliccando sull'immagine in basso per ingrandirla).

Secondo me, se il tempo tiene, sarà una cosa divertente.

mercoledì 7 settembre 2011

In bocca al lupo Gipi!

68° Edizione del festival del Cinema di Venezia
17:15 Sala Grande
L’ULTIMO TERRESTRE
di Gian Alfonso Pacinotti (Italia, 100’, v.o. italiano s/t inglese)
con Gabriele Spinelli, Anna Bellato, Roberto Herlitzka, Teco Celio

venerdì 12 agosto 2011

Watamu.

Nella vita bisogna sapere aspettare.
E, mentre si aspetta, mantenersi in salute.
Watamu, una tra le 10 più belle spiagge al mondo (dicono).
A ottobre, sotto questi pedonzi.

A chi va la DC Comics in Italia?

 
Oggi, all'annuncio della notizia, Piazza Affari ha segnato un +4% secco.

giovedì 11 agosto 2011

Senza entrare nel merito (almeno non troppo).

Senza entrare (troppo) nel merito di chi ha ragione e di chi ha torto (che personalmente, in riferimento all'argomento specifico, è una cosa che mi interessa poco) e a prescindere se certi modi possono risultare fastidiosi o meno, accennare a qualunque livello a dei paragoni tra chi fa delle domande (appunto, senza entrare nel merito della qualità delle stesse, solo delle domande poste pubblicamente) e chi nel secolo scorso si è macchiato di razzismo e di antisemitismo, beh, per me questa è una cosa che sta al di fuori di qualunque comprensione.

E quindi, in riferimento alla querelle Bottero/Messina (Fumetto d'Autore) e Barbieri, pur stimando Daniele Barbieri (sia il suo lavoro sia come persona), non posso non criticarlo per l'esempio utilizzato (e quindi, in sostanza, dare ragione ad Alessandro Bottero per quello che scrive QUI, link dal quale poi, se avete voglia, a botte di ipetersto potete ricostruire con esattezza chi ha scritto cosa dalla voce diretta di chi l'ha scritto).

E questo era a mo' di premessa.
Domande fastidiose da una parte. Antisemitismo e derivati dall'altra.
E in mezzo un bel muro altoaltoalto (con sopra cocci di bottiglia).

Io leggo Fumetto d'autore.
E siccome lo leggo, toh, lo linko pure: www.fumettodautore.com
Se non mi piacesse leggerlo non lo farei. Quindi, mi piace leggere FdA.
Più o meno ogni volta che esce un articolo di Giorgio Messina (o un editoriale di Alessandro Bottero), nella fumettosfera nostrana, com'è come non è, scoppia una merda.
Segno che Bottero e Messina sono dei provocatori?
Magari sì, ma anche segno che, quando scrivono qualcosa, Bottero e Messina sanno mettere il dito dove brucia.
Forse soprattutto segno che nella fumettosfera la concorrenza sull'informazione non è che sia proprio grandissima.
Di sicuro segno che non sono da solo a leggere FdA.

Ora, spesso non sono d'accordo con quello che viene scritto da Alessandro e Giorgio.
Però, anche quando non sono stato d'accordo con le loro idee e con i modi con cui tale idee venivano esposte (arrivando anche a manifestare tale disaccordo con dei chiari "vaffanculo"), non mi è mai passato nemmeno lontanamente per la testa che in fondo sarebbe meglio se la voce di FdA non esistesse.
Discorso che ovviamente vale per FdA come per tanti altri siti, blog e riviste cartacee.
Perché è questo in sostanza che ti chiede chi ti propone di partecipare a qualsiasi livello ad un complotto del silenzio: di cancellare con il tuo silenzio l'esistenza di qualcos'altro.
O, peggio, di qualcun'altro.

Oè, ma stiamo scherzando?

Se vogliamo dire che quello che viene scritto su FdA è una mistificazione della realtà dei fatti, allora questa mistificazione non la si può eliminare chiedendo, sulla base di un patto di fiducia, il silenzio e neppure, d'altra parte, alzando i toni (che il rumore, alla fine, è come il silenzio).

Io credo che più senti che le accuse che qualcuno ti sta facendo sono gravi, più devi aver voglia di spiegare le tue ragioni. Di dire chiaramente che quello che qualcuno scrive è falso (o, come a volte accade, è scritto per sembrare una cosa che invece non è), di dire che le cose stanno in un altro modo rispetto a come vengono raccontate.
Sarà anche vero che la calunnia è un venticello, ma, in parallelo, la verità ha una concretezza contro la quale quel venticello può fare ben poco. Soprattutto quando la verità si appoggia alla credibilità di chi parla (e, per me, Michele Ginevra, grazie al lavoro svolto con il CfAPaz, di credibilità ne ha).
È questo il principio della libertà e, se lo si accetta, non lo si può prendere a macchia di leopardo.

E se qualcuno va oltre le regole, beh, allora esiste ancora la legge.

In parallelo, diamo una giusta dimensione alle cose: senza voler togliere niente a nessuno, FdA è un piccolo sito che si occupa di un piccolo mondo come quello del fumetto italiano.
Niente di più e niente di meno.
Per cui lasciamo da parte le "macchine del fango" o altre frasi fatte che lasciano il tempo che trovano.
Al massimo, eventualmente, un bicicletta del fango contro la quale comunque, fermo restando il ricorso alle vie legali di cui sopra, ognuno che si sente offeso o calunniato per qualcosa ha tutti i mezzi per potersi difendere.

Per cui, riassumendo.
Domande fastidiose da una parte. Antisemitismo e derivati dall'altra.
E in mezzo un bel muro altoaltoalto (con sopra cocci di bottiglia).
E, in ogni caso, se devo scegliere tra il silenzio e le domande, cazzo, io scelgo comunque le domande anche se chi le pone mi può stare sulle balle.
Perché il silenzio finisce lì, mentre le domande generano delle risposte. E tra domande e risposte c'è la possibilità (non la certezza) che nasca la conoscenza
Il silenzio invece (e questa sì che è una certezza che la storia ci insegna) genera sempre e comunque ignoranza.

Mi dispiace se scrivendo tutto questo ho alimentato la polemica ma, standomene zitto, mi sembrava di appoggiare implicitamente un modo di fare che per principio detesto.

lunedì 8 agosto 2011

Ancora su The Rocketeer (e Maèstro).


In attesa che cada la proverbiale seconda scarpa del Rrobe nazionale (= che esca la seconda parte della sua lunga recensione/disamina della salda-edizione di The Rocketeer) vi segnalo due altri interessanti interventi a riguardo che, se vi va, vi consiglio di leggere.

Il primo, la recensione firmata da Giorgio Messina di Fumettodautore.com, lo potete leggere QUI.
Il secondo, l'endorsement al progetto Maèstro del decano dei titoli bloggheschi Andrea Voglino, lo trovate QUI.
E visto che pare che tre sia il numero perfetto, ve ne segnalo anche un terzo in cui si scopre cosa ne pensa di Maèstro l'amico Petrucci (da leggere QUI).

Ringrazio Giorgio, Andrea e Michele per le parole spese per la collana (un progetto che, come ormai saprete, ho molto a cuore) e, se vi va, vi invito a dire la vostra su Maèstro (e sui singoli titoli) qui sotto.
Ad esempio sul rapporto qualità/quantità/prezzo della collana, argomento che, a prescindere dai 3 interventi di cui sopra, sembra che la faccia più o meno da padrone su tutti gli interventi che mi è capitato di leggere in giro.

martedì 2 agosto 2011

Lei, Diana, ci rimane malissimo.


L'Antro Atomico del Dott. Manhattan è per me una scoperta recente (e infatti è da poco che è entrato nella barra dei miei blog preferiti qui a lato) e, senza farla tanto lunga (che scrivere un post su Ipad è un grattugiamento di palle, per non parlare dell'inserimento dei bold e dei corsivi o se ti capita di dove correggere un errore di battitura), ogni volta che lo leggo mi sbellico discretamente dalle risate.
Ho appena letto quello dedicato al pilot della serie tv abortita di Wonder Woman e non posso che consigliarvelo.
Il pezzo lo potete leggere QUI.

giovedì 7 luglio 2011

Rrobeteer.

Titolo in puro Voglino style (un maestro inarrivabile nel genere) per dire che Roberto Recchioni ha appena pubblicato sul suo blog un bell'articolo (in due parti) su The Rocketeer di Dave Stevens.

La prima parte la trovate QUI.

(Io intervengo nei commenti giusto per puntualizzare un paio di cose secondo me importanti)

venerdì 1 luglio 2011

Garth Ennis si dà al cinema?

Pare proprio di sì, anche se 17 minuti (che faranno da sequenza di apertura a un futuro lungometraggio e che verrano comunque sviluppati dallo stesso Garth Ennis in un progetto a fumetti) non si possono proprio definire Orson Welles che gira Quarto Potere.

In ogni caso, mega annuncio da parte di Avatar con premiere annunciata per l'imminente S. Diego Comicon. E ce ne fossero da noi case editrici che hanno progetti del genere (sì, tipo Fandango).

Obiettivo? Fare meglio di Miller con The Spirit.
Curiosità. Vedremo.

L'ammazzavampiri 21esimo secolo.

Tempi bislacchi come i nostri se lo meritano quel nulla attoriale di Colin Farrell nelle vesti del vampiro charmante.



Detto questo (e pensando anche al post di prima su Footloose):

1. ma possibile che in 30 anni gli americani non abbiano cambiato di una virgola il loro modo di vestire?

2. che fine ha fatto l'ammazzavampiri che in Italia dava il titolo al film?

Footloose 21° secolo.

A parte che il figlio di David Parenzo non gioca nemmeno nello stesso campionato di Kevin Bacon, è la scelta di sostituire i trattori con gli autobus che vi rende dei perdenti.

sabato 25 giugno 2011

ZOMBonelli: update.

Se volete saperne qualcosa di più del progetto ZOMBonelli date un occhio QUI e poi, ovviamente, domani fate un salto al PICNIC! Festival.

(E, se restate fino a tardi, sul far della sera siete invitati alla visita guidata al piccolo cimitero Bonelliano.)

giovedì 23 giugno 2011

domenica 12 giugno 2011

Come l'Oscar, solo con le ali e le tette.

Meglio: come l'Oscar, solo con le ali, le tette e un notevole stacco di culo.
Ecco, è fatto più o meno così il Fantasy Horror Award che sono andato a ritirare domenica scorsa ad Orvieto nell'ambito della manifestazione organizzata dall'editore FunFactory (quello della rivista SciFi) e dal canale Sci Fi di Universal.

Il premio che ritiravo era per The Walking Dead (premiato come "miglior fumetto horror e fantasy") e mi veniva consegnato da Alessandro Bottero in funzione di rappresentante della giuria (e che, insieme a me, confermava la mia personale teoria secondo la quale basta parlare di fumetti e il palco si riempie di uomini barbuti sovrappeso).



Premio graditissimo a parte (sono stati in molti a volermi fare i complimenti per TWD, segno che il pubblico conosce ed ama questa serie), è stato molto bello poter stringere la mano al leggendario regista Stuart Gordon  (che nelle 3 parole che ci siamo scambiati mi ha detto di amare anche lui molto The Walking Dead), all'attrice Kristina Klebe (nel remake di Halloween e che presentava la serata) e all'attore Bill Moseley (che conoscevo dai film di Rob Zombie).
L'Anna Torv di Fringe però sono solo riuscito a vederla (da vicino però).

Insomma, una bella serata in una bella cornice coronata da una piacevolissima cena in compagnia di persone simpatiche conosciute proprio durante la sera della premiazione.
Che volere di più?

sabato 11 giugno 2011

Note in margine a "Call of the Dead".

Un po' di riflessioni pomeridiane su quel divertente progetto relativo alla locandina che potete vedere qui di fianco (locandina che farei carte false per potermi incorniciare in studio), riflessioni che partono dai videogiochi e si spingono fino al montaggio connotativo ejzenštejniano.

Da sabato pomeriggio, appunto.

Le trovate di là.

venerdì 10 giugno 2011

Referendum o festa a Fregene?



Quindi occhio che questo we si vota. E c'è pure il nuovo spettacolo di Guzzanti (stasera).

lunedì 23 maggio 2011

Premio ANAFI 2011 a saldaPress.

ANAFI (Associazione Nazionali Amici del fumetto e dell'Illustrazione) ha scelto saldaPress per uno dei suoi premi di giuria del 2011.

Questa la motivazione letta dal Presidente dell'ANAFI Paolo Gallinari al momento della consegna del premio: "Alla casa editrice saldaPress, per essere riuscita, partendo da un ambito di provincia, a creare una etichetta editoriale che ha sviluppato tematiche narrative nuove ed originali, facendo emergere personaggi sia del fumetto orientale, come L’Uomo Tigre, sia statunitensi come Liberty Meadows, e imponendo una linea narrativa legata al fenomeno degli zombie che oggi molti editori imitano con minore qualità".



Ovvero, gli zombi come li facciamo noi di provincia non li fa proprio nessuno (commento di Zironi, non mio).

Scherzi a parte, è un premio che mi ha fatto davvero piacere ritirare, un po' perché è un premio che si consegna proprio qui a Reggio Emilia che è la città dove, nel corso del tempo, abbiamo costruito il nostro lavoro.
E un po', appunto, perché arrivando proprio quest'anno e riconoscendo la qualità complessiva della nostra proposta, è il perfetto coronamento di dieci anni di lavoro della nostra casa editrice.
Che è un traguardo non da poco nel nostro mestiere.

A memoria del momento della consegna del premio, quella foto sfoco-sbiaditina là in alto (scattata dal tremulo Bonfatti) che mi trasforma inaspettatamente in un'opera di Ghirri.

ps: durante la giornata ho avuto anche modo di conoscere Paolo Cossi simpaticissimo – e bravissimo – autore friulano. Paolo, premiato quest'anno da ANAFI come "miglior autore completo" è un vulcano di aneddoti e di idee (basti dire che con il Bonfa ha inventato quella genialata del Psychiatric Help for Cartoonist). In questa foto ci vedete insieme e, visto che lui da vero montanaro è magro come un chiodo, l'effetto matrioska di noi due messi uno accanto all'altro è inevitabile:

Gli amici degli amici sono amici?



Per carità, Red: te la puoi anche tenere Letizia Moratti come amica e puoi anche continuare a sostenerla come fanno i suoi amici (anche quelli sono amici tuoi?).

Ma – domanda – invece di tutta questa tirata alla "io so e voi non sapete un cazzo" (per non parlare di quell'altra boutade del LiveMI cancellato), non era più semplice fare un video in cui dicevi perché, secondo te, è meglio scegliere Letizia Moratti invece di Giuliano Pisapia come sindaco di Milano?

Mica pretenderai che uno voti la Moratti solo perché Red Ronnie ci dice che è amica sua?

martedì 17 maggio 2011

Numeri da fumetto italiano indipendente (non si sa da cosa).

Dunque alle comunali di Milano hanno votato 673 mila persone (su 996 mila aventi diritto al voto).

Le persone che hanno espresso una preferenza su Sara "anti-Minetti" Giudice sono state 374 (ovvero, 374 persone che, apprezzando quello che dice/fa Sara, hanno scelto di mettere il suo nome sulla scheda. Ovviamente, presupponendo la buona fede e quindi escludendo dal numero amici e parenti che la potrebbero aver scelta automaticamente solo in quanto tali).
374 preferenze con le quali ora pare probabile un'elezione di Sara al Consiglio Comunale di Milano.

Ora, riflettevo: quante volte è comparsa negli scorsi mesi Sara Giudice nei vari telegiornali delle varie rete nazionali? E quante volte nelle trasmissioni di approfondimento? Quante volte è stato citato il suo nome (o mostrata la sua foto) nei vari discorsi relativi a Micol Minetti & co? E quanti articoli sono stati scritti su di lei sui vari quotidiani?

Direi abbastanza, no?

E tutta questa "mediaticità" fa sì che nemmeno 400 persone scelgano la sua proposta?

Cioè, stiamo parlando di numeri ridicoli. Da fumetto italiano indipendente, appunto.

Se un editore ha 400 persone che scelgono la sua proposta (= acquistano i suoi libri) è considerato un piccolo editore ergo non conta un cazzo sul panorama editoriale nazionale.
Se invece meno di 400 persone scelgono un nessuno (senza voler togliere nulla alla tenera Sara), quel nessuno finisce che va in prima serata sulle maggiori rete televisive a dire questo è giusto e questo è sbagliato (senza considerare che si guadagna un posto anche di un certo rilievo nell'amministrazione pubblica).

Bah...

(ps: che in parallelo si potrebbe leggere ottimisticamente anche così: con il nulla "mediatico" che abbiamo in mano, noi piccoli editori facciamo davvero miracoli. Anche se questo, come editore, non mi consola manco per un cazzo...)

mercoledì 11 maggio 2011

Note in margine al finale di Lost.

Si capiva fin dall'inizio come sarebbe andata a finire: una storia di morti che fanno finta di essere vivi finché non arriva il momento che prendono coscienza che sono morti.
E l'avevano detto praticamente tutti appena era iniziato.
Me compreso.

E invece no: pensare, capire, spiegare, interpretare e dibattere, dibattere e ancora dibattere.
Il tutto per una sòla che si trascina per anni, costantemente avvitata su sé stessa, tanto che, a un certo punto, capisci che anche se non ascolti le battute dei personaggi la storia va avanti lo stesso.

Un meccanismo narrativo costruito sul fare promesse e puntualmente deluderle (magari dando la colpa a qualcun altro che ha intralciato i piani originari incrociando le braccia quando c'era da lavorare).
E poi, ovviamente, le stesse identiche promesse riproporle e rilanciarle con la medesima enfasi retorica.

E, una volta finito, trovalo uno che ti dice che lo guardava.

Sono notevoli le somiglianze tra le 6 stagioni di Lost e gli oltre 15 anni di Silvio Berlusconi in politica.

Thor.


Tipo che c'è Gianfranco Funari che, mica è morto. No, è asceso al cielo senza un occhio e c'ha due figli: uno è un tronista svedese di Maria De Filippi e l'altro è Marco Travaglio....

giovedì 5 maggio 2011

mercoledì 4 maggio 2011

Comicon.06

Vi faccio partecipi di un dubbio filosofico (e, nella fattispecie, etico) su cui, non avendo di meglio da fare mentre prendo il caffè, mi sto arrovellando.

Allo stand della NPE acquisto il terzo volume di Ravioli Uestern, il saggio di sociologia contemporanea a fumetti firmato dal concittadino Pièrz (per usare le parole di una partner di Rocco Siffredi, sempre gustoso e abbondante)

In omaggio con il volume c'è una pin. Puoi scegliere tra quella del raviolo ninja o quella del gatto nazi che si fa la toilette.

Penso che potrei regalare la spilla a Linda e così scelgo quella del gatto (che, si sa, sulle femmine i gatti disegnati hanno sempre un certo ascendente. Lo dice anche Rocco che voleva farsene tatuare uno ma poi, riflettendoci, ha capito che non ne aveva mica bisogno).

Quando le do la spilla Linda apprezza molto il gatto ma poi, guardando meglio la spilla, nota che dietro il gatto c'è una svastica (gatto nazi, appunto).

E allora mi dice: "Mica posso andare in giro con una spilla con sopra una svastica."

E io prima penso: "E vabbè..."
E subito dopo: "Però, in effetti..."

Se vi va, il dibattito è aperto nello spazio commenti.

lunedì 2 maggio 2011

Comicon.05

Ad ogni elenco di premi e candidature, sullo schermo alle spalle di Claudio Curcio, compariva l'immagine qui a fianco di Attilio Micheluzzi.

Guardo l'espressione accigliata del maestro e capisco che nemmeno lui ha gradito che venisse associata al suo nome la candidatura di Sailor Moon a "miglior riedizione di un classico".

Comicon. 04

Premio Attilio Micheluzzi alla miglior storia breve a "I Ronfi" di Adriano Carnevali (su Pic Nic).

Consegna il premio Filippo Scozzari che, con un crescendo fantozziano, commenta "Non so chi cazzo sono i Ronfi. Non li ho mai letti e credo che non li leggerò mai".

In sala, tra gli applausi, qualcuno dal forte accento toscano da forma alla domanda che tutti in quel momento si stanno ponendo: "Ma perché la consegna dei premi Micheluzzi non la fanno condurre tutta a Scozzari?"

In parallelo, però, quanta pochezza nel fare "buuu" all'autore spagnolo che, alla domanda su quali autori italiani apprezza, risponde "Pratt e Manara".
Come se noi italiani fossimo tutti espertissimi di fumetto spagnolo.

Comicon. 03

Dopo Angoulême, anche a Napoli premiato Cinquemila chilometri al secondo di Manuele Fior.

"Eh, ma che palle. Adesso tutti a premiare Cinquemila chilometri al secondo di Fior..." mormora e bisbiglia il popolino festivaliero.

E vorrei vedere.
Cinquemila chilometri al secondo è semplicemente il miglior libro a fumetti prodotto in Italia nel 2010.
E lo scrivo in grassetto così si legge meglio: il miglior libro a fumetti prodotto in Italia nel 2010.

Altri belli ce ne sono di sicuro ma poche balle: quello di Fior è il migliore.

Comicon. 02

Venerdì, al dibattito sulla distribuzione del fumetto in Italia, ho capito che non si sarebbe nemmeno minimamente parlato di qualcosa che avesse a che fare con l'aspetto economico della cosa nell'esatto momento in cui ho visto Lupoi alzarsi e andarsene.

Sono rimasto nella speranza che si parlasse almeno di figa e invece, a un certo punto, se n'è andato anche Ausonia.

Comicon. 01

Stanotte ho sognato che ero al Comicon di Napoli.

Dolly indietro a inquadrare frontalmente Igort che passeggia per le sale di pietra di Castel Sant'Elmo. Intorno a lui le persone si fanno evanescenti e, una dopo l'altra, scompaiono.

Le proiezioni nell'auditorium vanno avanti, alle pareti ci sono ancora appese le tavole e gli stand sono ancora lì. Ma dentro non c'è più nessuno.

Alla fine resta solo Igort. E Baru con gli occhiali che disegna sui libri.

Non ho capito se era un sogno di qualcosa che lì finiva o di qualcosa che da lì iniziava.

mercoledì 27 aprile 2011

La fine è il mio inizio.

Tentativo coraggioso quello di adattare cinematograficamente il libro testamento di Tiziano Terzani ma più o meno siamo dalle parti del Watchmen di Zack Snyder: non puoi dire che è brutto, non puoi dire che è bello. Puoi dire solo che il testo originario resta saldamente ancorato al medium in cui è nato (e che rivendica la sua infilmabilità con un "Ha-haaa" alla Nelson dei Simpson).

Ora, a dire il vero l'adattamento di Jo Baier per noi risente anche di un'altro aspetto: credo che sia girato in inglese (o, vista la produzione, in tedesco?) e poi doppiato in italiano. Cosa che rende il romano Elio Germano che si doppia in toscano qualcosa di abominevole (e inascoltabile).
Dai, diciamo che un po' ribilancia Bruno Ganz, sempre più bravo ad interpretare ruoli che richiedono un certo grado di mimetismo attoriale.

Però, in generale, è tutto il meccanismo che si inceppa: se per caso non sai niente di chi è stato Tiziano Terzani e di che cosa ha fatto nella sua vita, il film non ti aiuta minimamente a capirlo.
E così resti con il dubbio di chi cavolo sia questo omino vestito di bianco che gira per la natura toscana dispensando saggezza con la faccia barbuta di Giobbe Covatta ma senza mai dire "Basta poco, che 'cce vo?".

Ecco, potremmo dire che se non sai nulla di Tiziano Terzani e ne hai piene le balle di chi te lo propina sentendosi in dovere di dirti "Lo devi leggere", allora più o meno siamo dalle parti de Il signore degli anelli di Peter Jackson: 10 e passa ore di film saranno lunghe, ma vuoi mettere non dover mai più leggere i libri di Tolkien? (E lo so io che due coglioni che mi hanno fatto gli amici nell'adoloscenza – e pure dopo – con Il Signore degli anelli...)

Che però è un peccato perché, a differenza dei nanetti dai piedi pelosi di Tolkien, la parabola che racconta Terzani nei suoi libri, a partire dalla scoperta della Cina e dell'Oriente come corrispondente di Der Spiegel, sembra molto interessante. E, senza quella parte lì (che il film accenna a parole senza mai mostrare), risulta difficile capire il perché e il percome dell'omino barbuto che sia aggira per i monti di Orsigna.

Purtroppo il film di Baier è un po' un film da super-fan di Terzani (cioè, il film non c'è e funziona solo nella misura in cui il super-fan di Terzani ci mette di suo), risultando alla fine poco più di una extended-version della bella intervista che Terzani aveva rilasciato prima di andarsene.
Quello che si vede nel film, nell'intervista c'era già più o meno tutto (e direi pure raccontato meglio e senza ralenty) ma, soprattutto, quello che non mi sembra che passi proprio nel film è questo concetto di fine come inizio: la morte di Terzani è evocata per tutta la durata del film, è talmente potenziata da tradire l'idea che stava alla base del libro di Terzani.

E, tornando all'inizio di questo post, il problema non è tanto nel regista, quanto nel mezzo cinematografico in sé che, per sua natura, evoca continuamente la morte e, come scriveva Jean Cocteau, la filma al lavoro. E, quindi, impossibile da utilizzare per l'adattamento di un libro del genere.
Quello che poteva fare Baier (ma che non ha fatto) era spostare tutto l'asse del racconto per far capire meglio il viaggio (fisico e mentale) della vita di quest'uomo che, anche di fronte alla morte, resta un giornalista (e quindi vuole guardarla in faccia e raccontarla), il rapporto tra il desiderio di scomparire di Terzani e quello fortissimo di essere comunque presente e in primo piano, il suo tentativo in extremis di rimettere in discussione un rapporto annichilente nei confronti del figlio, quello che lo legava alla moglie che ha costruito buona parte dell'impalcatura che reggeva la sua vita e, perché no?, anche il fenomeno editoriale Terzani che tradisce una voglia di spiritualità dei nostri tempi mista alla pretesa di trovare le risposte che cerchiamo sugli scaffali di un supermercato.

Mi resta una sola immagine del film: Terzani che, nel giardino di casa, fischia e chiama a sè dei grandi corvi che vengono a mangiare dalla sue mani come se fosse la cosa più naturale del mondo.
È un'immagine molto bella (l'uomo vestito di bianco e le ali nere dei corvi), che annuncia la morte che da lì a poco arriverà, che la evoca come qualcosa di grande, misterioso ma anche di affascinante e naturale.
Ma pure qui – attenzione – stiamo parlando di un'immagine che c'era già nell'intervista (solo che, nell'intervista, i corvi erano molto più piccoli – e forse non erano nemmeno corvi – e la location era l'Himalaya).
Però, chi se ne frega? Bravo lo stesso Baier ad averla reinventata per il film.

lunedì 25 aprile 2011

Grant Morrison: All Star.

Se amate i fumetti sceneggiati da Grant Morrison, non potete non leggere Grant Morrison: All Star (Double Shot, 20 euro assolutamente ben spesi).

Giovanni Agozzino, Nicola Peruzzi e Antonio Solinas hanno fatto un ottimo lavoro, racchiudendo in oltre 300 pagine un'analisi precisa e dettagliata dell'opera dello sceneggiatore scozzese dagli esordi di fine anni '70 ad oggi, il tutto intervallato da box tematici e interviste ai vari disegnatori che nel corso degli anni hanno lavorato con Morrison.
Credo che, al mondo, sia la prima volta che viene fatta un'analisi così completa del lavoro di Morrison e, a differenza di altri saggi simili che mi è capitato di leggere dedicati ad altri autori protagonisti della new wave britannica di fine anni '80, questo si legge con grande piacere dall'inizio alla fine e senza un attimo di noia. Quindi tanti di cappello agli autori.

Leggetevi Grant Morrison: All Star dall'inizio alla fine – ma anche saltando da una parte all'altra lasciandovi guidare dalla curiosità del momento oppure sbirciando sul blog dedicato al libro – e poi, magari, fate come me: riprendete in mano The Invisibles e, alla luce di questo bel saggio, godetevi di l'opus magnum morrisoniano, simbolo di una Vertigo (e di un tipo di idea editoriale) che purtroppo non esiste più.

ps: anche se, a dirla tutta, la parte che mi è rimasta più in mente è quella in cui parla Chaz Troug, disegnatore di Animal Man schifato da tutti (Morrison compreso) che, dopo il suo "Ma anche no..." descritto a pagina 187, è diventato il mio eroe.

sabato 23 aprile 2011

Habemus Papam. 06

E prima di lasciare la parola a Nanni Moretti, un'ultima considerazione: pare a me o lanciare un sito dedicato al film (con annesso concorso) indica un mutamento di strategia di Moretti nella promozione dei suoi film?

Habemus Papam. 05

Più passa il tempo e più il cinema di Nanni Moretti diventa un cinema d'immagini.

Guardando Habemus Papam non è infatti difficile indovinare quali sono le immagini da cui il regista è partito per girare il suo film: il Papa e lo psicologo seduti uno di fronte all'altro circondati dai Cardinali (ovvero una delle messe in scena più efficaci della paradossalità insita in una qualunque seduta terapeutica) e il torneo di pallavolo tra i Cardinali.
Ma anche due scene dotate di un certo grado di perturbanza (nel senso freudiano del termine): i prelati che, dopo il grido angosciato del neo pontefice alla loro spalle, indietreggiano muti fino ad essere inghiottiti dal rettangolo nero della finestra e i cardinali in abito completo che irrompono nel buio del teatro, spalancando le tende dei palchi alla ricerca del Papa fuggito (messa in scena e uso dello zoom richiamano una scena analoga di Kubrick in Eyes Wide Shut, altra pellicola sull'entrata in crisi di un ruolo e sul successivo smarrimento dei personaggi).

Più il film di Moretti si mantiene aderente alla forza delle immagini (e quindi più si fida della potenza del cinema) più è possibile una narrazione che, dichiarata la sua matrice psicoanalitica (ossia più simbolica che metaforica), può indugiare con lo sguardo dalla parti del preconscio e delle sue rivelazioni (che era esattamente il nodo attorno al quale ruotava la novella di Schnitzler da cui Eyes Wide Shut è tratto).

La sfida di Moretti in Habemus Papam è proprio quella di riuscire a tenere per tutta la durata del film la narrazione esattamente a cavallo di quella zona di scambio tra conscio (realtà oggettiva/trama/naturalismo) e inconscio (dimensione onirica/immagine evocativa/metafisica). Il film si inceppa, infatti, quando cerca una funzionalità rappresentativa dei personaggi che non riesce ad ottenere (la psicanalista fissata con il deficit emotivo ma, in fondo, lo stesso psicanalista interpretato da Moretti che finisce per dare ragione a  Monicelli quando gli diceva "Moretti, scansati e fammi vedere il film").

Habemus Papam ruota attorno a tutte queste immagini e ad un discorso sul teatro (e sulla messa in scena) che rappresenta il fulcro di tutto il film: quando il Papa fugge dal terrazzo da cui non riesce ad affacciarsi e ritorna nella sala del conclave (accennando così ad una regressione del personaggio alle origini del trauma, cioè un volere tornare indietro a prima che tutto succedesse), il regista lo inquadra come se fosse su un palcoscenico, con la porta alle spalle e le tende ai suoi lati che ricordano un sipario aperto (ma sono tende disegnate sul muro, quindi una rappresentazione ideale di un palcoscenico).

L'origine del trauma di Melville (cioè dell'uomo e non del Papa, come indica anche lo psicologo Moretti in una battuta del film) ha forse origine lì, quando il suo ruolo è stato sostituito dalla sorella diventata al posto suo attrice. Ciò che ha logorato Melville è probabilmente questo slittamento di ruolo, l'avere per troppo tempo interpretato un ruolo parallelo al proprio (il costume è una parte fondamentale sia nel mestiere dell'attore sia in quello dell'alto prelato) ma che non era il proprio ruolo. Ed è quando questo ruolo esige un'evoluzione (da Cardinale a Papa), quando il personaggio si svela nella sua esigenza irrinunciabile di fare evolvere la trama (e quindi di sacrificare definitivamente la persona Melville al personaggio Papa), è lì che la persona, messa all'angolo dalla consapevolezza di avere costruito la propria vita su una finzione, entra in crisi e crolla.

Ed ecco quindi il senso di quell'immagine fortissima che Melville, bloccato sul limite della trasformazione in Papa, evoca: una specie di nebbia che cancella le persone, quello che hanno fatto e detto (e che la sceneggiatura sottolinea bene: non i Cardinali intorno al Papa ma le persone che nella vita Melville ha conosciuto).
Melville sta per scomparire e con lui cominciano a scomparire tutti i ricordi della sua vita.

D'altra parte anche il ruolo dell'attore impazzito è indicale di questa strada interpretativa: l'attore impazzito recita mettendo in evidenza le impalcature che sorreggono la propria interpretazione (dichiara al pubblico le indicazioni di regia) come a voler denunciare la finzione insita in qualsiasi messa in scena, sia essa quella di un attore che recita Checov o quella di una Chiesa che, pur brancolando nel buio come tutti noi, cerca disperatamente di convincere i fedeli che attraverso di essa passa un filo diretto con Dio.

E se la finzione cade, in scena non ci sono più i personaggi ma solo attori che interpretano il testo di un drammaturgo russo. E sul balcone di Piazza San Pietro non c'è più colui che Dio ha scelto come rappresentante della propria Chiesa ma solo un uomo che accetta sulle proprie spalle la disperazione di chi, amando il teatro, non può fare a meno di dichiarare: "Ma io sono soltanto un attore".

Habemus Papam. 04

Che poi secondo me Roberto Recchioni, pur usando un'immagine d'effetto che farebbe la felicità di ogni pubblicitario, si sbaglia quando scrive QUI che "Habemus Papam è un cinepanettone per la gente con i maglioncini di lana e con le camicie sotto, gli occhiali appesi al collo e le pashmine da uomo, sopra le giacche. Un cinepanettone per il PD, insomma."

Habemus Papam a me sembra più o meno l'equivalente della vittoria di Vecchioni a Sanremo. Ovvero un sample semplificato e predigerito di musica d'autore che viene apprezzato da un pubblico che quel tipo di musica (e di scrittura) nella sua versione originaria non l'ha mai voluta ascoltare.

Sono infatti pronto a scommettere che il film di Moretti, con questa visione della Chiesa che esula da qualsiasi tipo di riflessione sulla fede e sul potere che attraverso di essa viene esercitato (per concentrarsi invece sull'umanità di fondo di Papa e Cardinali), piacerà molto di più ad un pubblico che il cinema di Moretti non lo ha mai frequentato.

Quindi, non cinepanettone per il PD ma cinema d'essai per la casalinga di Rovigo.

Habemus Papam. 03

Interpretazione cine-cristologica trasversale (con spoiler).

Dio chiama il personaggio e lui, prima di scomparire in un rettangolo nero alle sue spalle, rifiuta quella chiamata, ringrazia tutti, saluta e se ne va.
Da lì in poi, vorremmo sapere altro di questo personaggio che vuole essere libero e non rendere più conto ad un pubblico oceanico.
Ma altro non è dato sapere.
Fine del film.

Affinità e divergenze tra Habemus Papam e The Truman Show.

Habemus Papam. 02

Il recalcitrante Papa di Moretti prima di diventare il Papa (visto che non gli viene dato altro nome nel film) si chiama Melville.

Premesso che lo stesso Moretti ha spiegato in un'intervista che quel nome lo ha scelto solo perché gli era rimasto in mente vedendo una retrospettiva dedicata al regista Jean-Pierre Melville, io sono un fiero sostenitore del testo aperto e, quindi,  mi piace dargli un senso a quel nome riportandolo ad Herman Melville.

Herman Melville, oltre a Mody Dick (a cui potrebbe anche rimandare quella forma bianca a cui sono in molti a dare metaforicamente la caccia durante il film di Moretti), ha scritto almeno un altro capolavoro: Bartelby lo scrivano.
Sono troppo pigro per raccontarvi la trama di questo stupendo racconto (che mi piace aggiungere che il mio amico Daniele mi fece scoprire tantissimi anni fa) e quindi lascio l'onere a uno che in queste cose è un fuoriclasse. Alessandro Baricco:



Sono diversi i parallelismi tra un sistema che entra in crisi a causa di Papa che non vuole esserlo e quello di un ufficio (o di una vita) in cui uno scrivano preferirebbe non scrivere più. In entrambi siamo di fronte al simbolo di una crisi profonda, sistemica appunto.
L'incontro con il "preferirei di no" è perturbante tanto per l'avvocato narrante di Melville (messo in crisi dal non-rifiuto di Bartleby che, in realtà, nasconde un rifiuto assoluto) quanto per la struttura ecclesiastica  rappresentata da Moretti (se si permette la possibilità di un errore da parte di dio come quello nella scelta del Papa, allora va ammesso anche che non si può più parlare di infallibilità divina).

Tanto la crisi del Papa quanto quella di Bartelby non vengono spiegate ma, tra le righe – tra i fotogrammi – si fa un accenno al passato dei due personaggi. Come a voler dire che in quel teatro abbandonato senza avere avuto il coraggio di entrarci (o in quell'ufficio delle lettere smarrite del passato di Bartelby), sono state poste le findamenta di quella crisi che si manifesterà compiutamente solo anni dopo.
Moretti e Melville non ci dicono altro di questa crisi e si limitano ad indicarci di guardare là e, se vogliamo, a farci noi la nostra idea.

Di più: sono diverse le interpretazioni del racconto di Melville dalle quali emerge una chiave di lettura messianica del personaggio di Bartelby. Un messia di quella che Melville chiamava "democrazia assoluta di tutte le cose" e per comprendere la quale – e non smentire la pigrizia di uno che confessa di non sapere altro se non cosa cercare e dove cercarlo – vi rimando a questo saggio che analizza a fondo il testo di Melville.

Habemus Papam. 01

Ero lì che guardavo Habemus Papam e, riflettendo sulla Cappella Sistina che a suon di palanche Nanni Moretti si è dovuto suo malgrado ricostruire e al brutto composing da scarse risorse che il film mette in scena ogni volta che deve mostrare la folla di Piazza San Pietro con il naso in su verso il balcone, ho pensato: "Un soggetto del genere sarebbe stato interessante vederlo sviluppato a fumetti."

Anche perché, come ha dichiarato uno degli sceneggiatori del film (Francesco Piccolo) ironizzando sull'incoscienza che alcune volte hanno gli sceneggiatori nella fase di scrittura"gli interni come gli esterni e naturalmente gli ambienti sono collocazioni fondamentali per chi legge una sceneggiatura prima della realizzazione, poiché condizionano una serie di fasi lavorative e per me scrivere interno Cappella Sistina non rappresentava nessun problema fino a quando non ho capito che la Cappella Sistina andava inventata".


Poi ci ho ripensato e mi è venuto in mente che, a fumetti, una storia con un Papa alle prese con le conseguenze della designazione a quel ruolo io l'ho già letta e si chiama Church and State, lo splendido ciclo di storie in cui Dave Sim fa diventare Papa il suo Cerebus. Che, a differenza di quello di Moretti, oltre ad avere un dialogo ben più diretto con il suo dio, lo sa benissimo perché vuole fare il Papa: perché vuole i vostri soldi.

Insomma, questo è il primo pensiero che mi è venuto in mente guardando il film: il mondo è pieno di gente che si sbatte per girare bei film che devono fare costantemente i costi con i limiti economici di chi i film li produce (limiti che poi sullo schermo si vedono tutti) quando, con la stessa cifra (e pure meno, direi), potrebbero raccontare a fumetti la stessa storia senza alcun vincolo.
Perché, anche se oggi Roberto Recchioni ci dice QUI che produrre fumetti costa eccome, è innegabile che portare al pubblico la stessa storia come film (o come serie tv) ha costi enormemente superiori.
Cioè il fumetto non si dovrebbe mai dimenticare (di pensare e di comunicare) che, uno dei suoi punti di forza è quello di rendere disponibile ad una qualsiasi produzione di storie per immagini l'intera Hollywood al costo di... un quarto di Cinecittà?

Habemus Papam funzionerebbe a fumetti? Direi proprio di sì.
E aggiungo che, per l'industria del fumetto italiano, sarebbe una benedizione mediatica se, dei mille progetti che per altrettanti motivi un Nanni Moretti non ha girato (ergo destinati a restare per sempre chiusi in un cassetto), ce ne fosse uno che un editore di fumetti decidesse di acquistare da Sacher e produrre.
A patto che non sia quello del musical del pasticciere Trozskista...

venerdì 8 aprile 2011

Due chiacchiere su "Maèstro" ed altro.

Ciao Garamond,
qui tutto bene. Il mare è fantastico quindi, per ora, ho deciso che resto qua.


Ti scrivo solo per segnalarti che Zipì ha appena pubblicato sul suo blog quella famosa intervista su MAÈSTRO dove poi parli anche di The Walking Dead.
La trovi QUI (anche se la colonna a lato te la dovrebbe già aver segnalata).


Salutami tutti anche se non mi mancano per un cazzo.


Ciao,
la tua voglia in vacanza.


ps: ...ma com'è che polemizzi sempre? E, dopo dieci anni, come fai ad averne ancora voglia?