mercoledì 15 febbraio 2012

Fare sistema.


Questa cosa di The Walking Dead, nel tempo, mi ha insegnato un sacco di cose.

Ad esempio è stato molto istruttivo il viaggio negli States dello scorso anno per partecipare alla ComiCon di San Diego, il modo più semplice e diretto per toccare con mano come si è trasformata l'industria del fumetto americano in questi anni in cui si sono accorti dell'esistenza del fumetto a Hollywood e a... c'è un equivalente videoludico di Hollywood?

Ovviamente, tornando a The Walking Dead, una grande lezione (o, meglio, tante piccole lezioni) l'ho avuta dalla messa in onda della serie televisiva tratta dal fumetto creato da Robert Kirkman.

The Walking Dead prodotto da AMC è una serie televisiva di grande successo tratta da un fumetto di altrettanto grande successo.
Questa semplice verità è sempre in primo piano in tutta la comunicazione che, negli USA, viene fatta attorno al marchio TWD, sia che si parli di televisione oppure di videogiochi, di romanzi, di giochi da tavolo e via dicendo: il fumetto è il centro di tutta l'operazione.

Da questo punto di vista di assoluto comic pride, la serie televisiva ha prima tirato a bordo tutto il pubblico dei lettori del fumetto (che non ha tradito con una produzione furbetta di qualità mediocre come fanno in molti quando ci sono in ballo i fumetti: e quando leggerete il nostro The Walking Dead Chronicles – già, quando? – capirete meglio di che cosa sto parlando) e poi tutti quelli che in una produzione televisiva cercano intrattenimento, trama, storia, tensione e possibilmente qualcosa che fino a quel momento non hanno ancora visto (tipo gli zombie).
Da lì il circolo virtuoso che, dalla tv, ha rimandato al fumetto, con sempre nuovi lettori – spesso nuovi lettori di fumetto tout court – che, grazie alla serie tv di AMC, scoprono la serie pubblicata mensilmente da Image Comics.
L'equazione è tanto semplice quanto efficace: crescono gli spettatori, crescono i lettori.

Insomma, da un punto di vista di assoluta e orgogliosa onestà (quello che vedrete in tv è tratto da un fumetto, dichiara costantemente la produzione) l'operazione di TWD si è rivelata un assoluto successo. Per capirlo basta il dato di domenica scorsa, quando negli States è andata in onda l'ottava puntata, ovvero quella della ripresa di stagione: 8 milioni di spettatori che, contando le repliche, sono arrivati a 10 milioni (la seconda stagione aveva debuttato a 7,2 milioni e si era fermata alla settima puntata a 6,6 milioni. In Italia, gli spettatori sono stati 330 mila, ovvero appena 30mila sotto il debutto del 2010 che era stato un vero e proprio record per Sky).
Non male vero?

La cosa interessante, però, è anche che, subito dopo la puntata di The Walking Dead, domenica AMC ha mandato in onda la prima puntata di Comic Book Men, una nuova serie prodotta da Kevin Smith che racconta della varia umanità che ruota attorno a un negozio di fumetti. La puntata, grazie anche alla volata tiratagli da The Walking Dead, ha totalizzato 2 milioni di spettatori.

Il punto è proprio che, pur con tanti problemi, di là dell'Oceano hanno capito non solo che il fumetto può diventare un tassello importante dell'industria dell'intrattenimento ma anche che, se si vuole che quel tassello funzioni (= generi introiti per gli investitori)
1. non deve essere celata la sua natura di fumetto (perché un fumetto che vende è comunque un prodotto editoriale che vende, ovvero qualcosa che porta soldi a librai, edicolanti, distributori, grafici, impaginatori, tipografi, produttori di carta e via dicendo;
2. si deve fare sistema attorno a quel prodotto, magari, come nel caso di The Walking Dead/Comic Book Men, facendo seguire ad una serie di successo tratta da un fumetto un'altra serie che abbia al suo interno qualcosa di riconducibile al fumetto e che mantenga su quel canale tv i lettori/spettatori interessati all'argomento "fumetto".

La differenza con la realtà italiana salta all'occhio.
Qui da noi, tranne in alcuni casi illuminati di cui spero di potervi parlare presto (stiamo lavorando per voi... e per noi), che un prodotto X sia derivato da un fumetto non è assolutamente un valore aggiunto.
In generale, in una campagna di comunicazione per un prodotto di questo tipo, questa informazione bene che vada viene messa in secondo piano. Più spesso viene omessa proprio.
E non è un caso che proprio qui da noi si sia assistito al maggior grado di abuso del termine graphic novel, salvo poi scoprire che quel termine disinfettante applicato al fumetto non è servito a vendere una copia in più di quelle pubblicazioni a fumetti che ce lo portavano appiccicato addosso, con ovvio malcontento di tutta la catena editoriale di cui sopra.
Eppure qui da noi, esattamente come negli USA (ma con numeri ovviamente più piccoli), i lettori del fumetto TWD aumentano man mano che la serie tv prosegue e, man mano che i lettori del fumetto crescono, crescono gli spettatori della serie tv (quelli ufficiali di Sky e quelli non ufficiali del popolo del download). Ma, nonostante ciò, far dialogare questi due mondi portandoli a fare sistema pare impossibile, con il risultato che la programmazione tv e la pubblicazione del fumetto vanno ognuno per la propria strada.

Il problema è che, come si diceva nel post precedente a questo, è proprio il concetto di "fare sistema" che in Italia non è mai esistito.
In Italia esistono – e sono fortissime – la cultura che ognuno possa fare tutto per conto proprio e la tendenza monopolistica a considerare chi è più piccolo come un'inutile complicazione.
Non esiste minimamente la consapevolezza del fatto che fare sistema sposta da un sistema additivo a uno moltiplicativo.
Non sempre è così (e non è stato sempre così nel nostro caso, ci tengo a sottolinearlo), ma spesso sì.

E dal discorso generale, ritorno al fumetto.
Il fumetto oggi, in maniera assolutamente naturale, dialoga con il cinema, la televisione, i videogame (ma anche con l'industria del merchandising, dei giocattoli e della gadgetistica) e raggiunge una fascia di pubblico/consumatori dall'età molto ampia.
Roba che i reparti marketing che studiano le possibili collocazioni e declinazioni di prodotto si sognano di notte, soprattutto in questo periodo di vacche più che magre direi tendenti all'anoressico.

Eppure, anche intorno al fumetto, zero sistema e – chiusura dolente – solo il macro esempio di Repubblica che dopo centinaia di volumi passati al colore di Tex non riesce ad azzardare niente di più di un'altra badilata di volumi di Zagor passati al colore.

Esiste qualcosa di peggio di due realtà che non dialogano per fare sistema? Certo: due realtà che dialogano per non farlo.

martedì 14 febbraio 2012

San Valentino.

Riflettevo oggi su questa mia capacità innata di ricordarmi le cazzate, pezzettini di memoria che rimangono immobili esattamente lì dove si sono piantati decenni prima e che, ogni volta che riemergono in una qualche conversazione, fanno esclamare al mio interlocutore sempre la stessa frase: "Ma come fai a ricordarti 'ste cazzate?".

Probabilmente la mia è solo la manifestazione più evidente di quella cultura del rimbalzo cognitivo che permea tutta la mia generazione, propria quella che il sor Baricco ha perfettamente descritto nel suo I barbari.
O forse, davvero, io riesco a ricordarmi solo le cazzate...

Fatto sta che, se mi si dice San Valentino, a me, che evidentemente sono un uomo dal cuore arido, automaticamente viene in mente la canzone di Massimo Priviero, ma soprattutto – "ma come fai a ricordarti 'ste cazzate?", appunto –  mi ricordo come un faro dritto nella memoria di me diciassettenne la frase di lancio con cui, nel 1988, il geniale marketing di Warner decise di mettere un bel piombo alla carriera del giovane rocker: "Ho visto il futuro del rock italiano e il suo nome è Massimo Priviero".

La frase, che mi dicono campeggiasse allora sui manifesti che tappezzavano mezza Milano, era una riproposizione di quella usata 15 anni prima dal critico musicale Jon Landau in un suo celebre pezzo, quello che sancì la nascita dell'astro di un signor nessuno come Bruce Springsteen.
Roba che spezzerebbe le ginocchia a chiunque, dico io.
Nonché una roba che, aldilà delle qualità musicali del cantante (un mix tra Ligabue e Luca Carboni, viene da pensare riascoltando oggi il pezzo), lo pone di diritto nel mio olimpo personale del PARFAC!, etichetta che i miei 5 lettori e 1/2 conoscono già da tempo.

Già, Ligabue...

Nel 1988 la Warner lancia anche il Lucianino nazionale che, con il suo album d'esordio, automaticamente, va a collocarsi in quella nicchia rock'n'rolla dal sapore cantautorale (al tempo era una nicchia) dentro cui c'era anche l'imberbe Priviero.
Lucianino che, senza il piombo di qualcuno che lo presentasse come il nuovo Springsteen, ha tutta l'agilità per sbattere fuori da quella nicchia chiunque avesse ambizioni al trono di rocker italiano.
Luciano che, a dirla tutta, al tempo condivideva con Priviero non solo il genere musicale ma anche un taglio di capelli ugualmente improponibile.



Insomma, una storia questa di Priviero che, riflettendoci a posteriori, la dice lunga sulla capacità di fare sistema che ha la nostra industria dell'intrattenimento (argomento su cui tornerò in uno dei miei prossimi post).

Scopro oggi, scrivendo questo pezzo, che Massimo Priviero non è scomparso e che, in culo a quel marketing capace solo di ragionare in termini di "se non sei una star, non ci servi" (come se un catalogo, musicale, cinematografico o letterario che sia, avesse bisogno solo di star...) , ha continuato a scrivere, suonare e cantare, mettendo in piedi una carriera musicale di tutto rispetto e avendo poi come produttore di uno dei suoi album nientepopodimeno che l'amichetto con la bandana di Springsteen "Little" Steven Van Zandt.
E questo senza contare che, una volta all'anno, chi a San Valentino cerca su Youtube una canzone a tema da linkare, molto probabilmente trova la sua.

Ora, premesso che diffido a priori della qualità musicale di qualunque italiano che si definisca rocker, quella di Priviero mi sembra una parabola interessante (forse soprattutto perché, come già detto, le personalità PARFAC esercitano su di me un grande fascino).
Ecco, diciamo che una biografia di Luciano Ligabue farei una certa fatica a leggermela, mentre su questa qua di Priviero potrei farci un pensierino (dopo il trasloco, però).

Intanto però, visto che oggi è San Valentino, beccatevi il video (e, come dice Jacopo Masini, "fate rosicare i cinici:  amatevi tantissimo").


giovedì 2 febbraio 2012

Oggi, lutto.

Qui giace come virgola antiquata
l'autrice di qualche poesia. La terra l'ha degnata
dell'eterno riposo, sebbene la defunta
dai gruppi letterari stesse ben distante.
E anche sulla tomba di meglio non c'è niente
di queste poche rime, d'un gufo e la bardana.
Estrai dalla borsa il tuo personal, passante,
e sulla sorte di Szymborska medita un istante.

(io ci volevo un sacco bene a Wislawa. Un pensiero per lei, senza tristezza. Promesso.)