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mercoledì 1 maggio 2013

I segreti di Pulcinella 2013


(Urca quanto tempo è passato dall'ultimo post! Ci siete ancora?)

Di ritorno dall'edizione 2013 del Napoli Comicon (edizione molto bella, con sole così così ma con tanta gente. Prima o poi, però, qualcosa bisognerà escogitare e mettere in atto per far comunicare il fuori – il mare di ragazzi che popolano lo spazio all'aperto – con il dentro – gli appassionati di fumetti che vagano tra gli stand degli editori) ecco qua, la mia TOP FIVE delle voci (più o meno confermate) che circolavano quest'anno in fiera ma che – chissà poi perché, visto che tra gli addetti ai lavori tutti le sapevano – nessuno vi vuole venire a dire.
I proverbiali segreti di Pulcinella, appunto.

Al 5° posto...
Dopo la separazione con NPE, erano in parecchi a domandarsi: che fine farà il benevolo Andrea "Glifo" Mazzotta?
Era una voce (per questo è qui), ma durante il Comicon è stata ufficializzata (per questo è passata al quinto posto): mr. Mazzotta è il nuovo coordinatore editoriale di RW Linea Chiara, l'etichetta di Lord Saviano da Frattamaggiore dedicata al fumetto francese
Ad Andrea – insieme a tutto il bene di questo mondo – auguro di non diventare mai come l'altro Andrea, il Grand Moff Rivi che lo affianca come direttore editoriale dell'etichetta RW.
E anche di risolvere quanto prima quel problemino di equilibrio che tutti a Napoli abbiamo visto...

Al 4° posto...
Questa è la voce meno voce di tutte (nel senso che risale ad almeno 6 mesi fa e a Napoli girava molto liberamente tra autori ed editori come cosa fatta): Panini Comics, con abile mossa, si sarebbe comprata il publishing di Walt Disney Italia (cioè, per intenderci, Topolino e tante altre belle cose).
Ora, in virtù dell'acquisizione di Marvel Comics da parte di Disney, tutti si sarebbero aspettati il contrario (e in molti ci contavano pure, segno della simpatia che circonda MML et co.). E invece i modenesi, oltre al grano messo sul tavolo, hanno fatto valere la loro lunga esperienza editoriale con i supereroi, tanto da convincere i capoccioni disneyani a mettergli in mano tutto il loro publishing.
Bravi loro e cazzi amari per tutti gli altri, visto che la già aggressiva politica di Panini, con questa nuova "arma terribile di fine di mondo" a disposizione, si farà ancora più pericolosa.
Se confermata, sarebbe la notizia bomba del 2013 e, ovviamente, nessuno dei siti d'informazione dell'italico fumetto-mondo si è degnato di segnalare questa voce. Tra le riviste, Fumo di China pare che abbia commentato "Come non seguiamo la notizia? Abbiamo ancora Sergio Rossi piazzato davanti agli uffici bolognesi di Marvel Italia."

Al 3° posto...
E a proposito di Sergio Rossi, lo sapevate che Black Velvet ha chiuso i battenti?
Dopo essere stata acquistata da Giunti Editore, intendo.
Pare infatti che l'editore fiorentino, nel clima generale di "ritiro dei remi all'interno del natante" che coinvolge più o meno tutto il mondo dell'editoria italiana, non sia stato molto contento dei risultati conseguiti dal settore fumetti in questi 3 anni – cioè da quando Giunti ha acquisito il marchio BV – e che quindi abbia dato il benservito (stupidamente, mi verrebbe da aggiungere) al progetto editoriale di Sergio Rossi e del buon Omar Martini. Non si sa se Giunti manterrà ancora attivo il marchio BV, ma si sa che Rossi e Martini (che detto così sa tanto di ditta di alcolici) sono già in viaggio verso altri lidi...
Quindi ora la domanda è: che fine farà Cerebus? Io punto su Bao.

Al 2° posto...
Altri lidi, si diceva.
Ovviamente, con la chiusura di Black Velvet da parte di Giunti, alcuni progetti editoriali (soprattutto francesi), se pur già con una lavorazione avviata, sono rimasti in sospeso.
E così Sergio Rossi e Omar Martini hanno avuto l'idea di una nuova etichetta denominata THE BOX che raccogliesse e portasse a pubblicazione tutti questi progetti, etichetta subito approdata in casa Coconango (Coconino + Fandango).
Cioè, quasi subito: pare infatti che a gennaio, ad Angoulême, girassero altre voci che vedevano la dote di Rossi e Martini già accasata presso un altro editore. Evidentemente nel frattempo qualcuno deve aver cambiato idea senza preoccuparsi però di comunicare la cosa al suddetto editore...
Il problema è che nel percorso dal punto A (Angoulême) al punto B (Coconango), i nostri due eroi non si sono accorti di un piccolo ma agguerritissimo forasacchi che, mentre loro viaggiavano, stava rosicchiando la loro "scatola" piena di fumetti, con il risultato che, all'arrivo in casa Coconango, è stato subito chiaro a tutti che THE BOX si era trasformata in... THE EMPTY BOX.
Cose che capitano in un mercato feroce come il nostro.
Ora, però, la mia domanda è: come mai i nostri editori si fanno guerra per i fumetti francesi quando in Italia i fumetti francesi da sempre vendono poco o niente? Mistero...

E al 1° posto...
La notizia che il sottoscritto aspettava da tempo (e che proprio per questo occupa il primo posto in questa top five): Giovanni Gualdoni è stato sollevato dall'incarico di editor di Dylan Dog.
La notizia per me, come lettore di Dylan Dog, è talmente bella che non mi interessa sapere se il Sor Gualdoni sia stato mandato via sull'onda delle lamentele di diversi e importanti autori dylaniani che non lo sopportavano più (anche se pubblicamente, ovvio, non potevano dirlo) o, magari, da una richiesta arrivata da Sclavenstein in persona (ma non credo) e nemmeno mi interessa sapere se Gualdoni andrà a ricoprire qualche altro incarico in Bonelli (temo di sì, ma in fondo è giusto: SBE ci ha speso soldi per formare Gualdoni, quindi è normale che lo reimpieghi).
L'importante è che Dylan Dog non lo supervisioni più lui (lo scriverà ancora? Speriamo nell'en plein...) e che l'editor che lo sostituirà intraprenda una politica di rinnovamento – ormai necessaria – del personaggio.
Ed è proprio per dare un aiuto alla Sergio Bonelli Editore che, a Napoli, è nata l'idea di lanciare via twitter lBonellarie attraverso cui scegliere i candidati a questo ambitissimo ruolo.
Nel prossimo post, le mie cinque candidature (ma nel frattempo, se bazzicate twitter, usate l'ashtag #bonellarie per partecipare proponendo le vostre).

venerdì 27 aprile 2012

Comicon 2012.

Biglietti fatti, albergo prenotato e, quindi, pronto per la trasferta in terra partenopea per l'edizione 2012 del Comicon.
Abbandonata con una lacrimuccia la bella cornice di Castel Sant'Elmo, la manifestazione si riunisce tutta a Oltremare: fumettofighini, veterocommercianti e cosplayer sudaticci tutti nello stesso contenitore fieristico a celebrare per 4 giorni quant'è bell'o fumett'.
Mah, vedremo...

Io che appuntamenti ho?
Dunque, il 29 aprile alle 18.00 c'è la consegna del Premio Micheluzzi.
Visto che quest'anno SaldaPress ha piazzato ben 2 titoli tra i candidati al premio (The Walking Dead come "miglior serie a fumetti estera" e Le avventure complete di The Rocketeer come "miglior riedizione di un classico"), se Trenitalia mi assiste, conto di esserci.

Poi il 1° maggio, tanto per festeggiare come si deve la festa dei lavoratori (e per tornare dopo tanto tempo a fare un incontro con il pubblico durante una fiera di fumetto), mi sono inventato questo.
Il titolo dell'incontro (THE WALKING DEAD: NUMERO 1) è volutamente provocatorio (ovvio...) ma se pensate che la provocazione si riferisca a questo, anche se non vi sbagliate del tutto, diciamo che siete abbastanza fuori strada.
Insieme a me a parlare ci sarà Pasquale Saviano di Pegasus (il nostro beneamato distributore per le fumetterie) e il giornalista Alessandro Di Nocera, che scopriranno solo in quel momento cosa succederà a TWD nei prossimi mesi e quali sono i nuovi titoli che sono appena entrati a far parte del catalogo saldaPress (eh sì, grosse novità all'orizzonte).
Va detto che Di Nocera – che dovrebbe fare da moderatore ma, siccome l'ho tenuto volutamente all'oscuro di tutto, ignora che cosa dovrà moderare – ha acconsentito di prestarsi a questa specie di "gioco al massacro" in cui il moderatore, ricondotto alla sua natura primigenia di primus inter pares (dove i "pares" sono il pubblico), riacquista quell'entusiasmo che spesso viene a mancare in chi, facendo una domanda, sa già quale sarà la risposta.
Visto che non gliene viene niente in saccoccia, Di Nocera poteva dire di no. Ma siccome è un signore (e un amico) ha deciso di essere anche lui della partita.

(in realtà questa cosa con Alessandro Di Nocera – alias Dean – nasce un po' anche perché Luigi Bernardi – detto Bernie – ha mandato a monte quell'altro progetto altrettanto bello e divertente che sarebbe dovuto essere BATTIBECCHI e che, se Bernie non ci avesse mollato alla guazza, sarebbe dovuto andare in scena proprio al Comicon. Ecco Bernie, io e Dean ci divertiremo lo stesso e parleremo malissimo di te. Gnegnegnegnè.)

Per il resto o' sole (speriamo), o' mare (da lontano), a' pizza e un po' di persone da rivedere e con cui scambiare quattro chiacchiere sempre piacevoli.

mercoledì 4 aprile 2012

L'elefante in salotto.

Confesso che una volta mi ci incazzavo. "Ce sformavo" come dicono nella Capitale.
Oggi però la cosa mi fa soprattutto ridere per quanto è ormai diventata patetica. Dovrebbe farmi pena per questo ma, mi sono detto un giorno, la mia pena la lascio per cose più importanti.
Per cui pago i miei bei 6 euro e 80 centesimi all'edicolante e, una volta all'anno, mi godo sorridendo lo spettacolo dell'elefante in salotto.

Perché è sempre bello sfogliare L'annuario del fumetto di Fumo di China e scoprire che, se non fosse per Andrea Antonazzo che lo segnala tra i suoi 5 titoli dell'anno, nel 2011, per la masnada di Fumo di ChinaThe Walking Dead non è proprio esistito.

Meglio: è certamente esistito negli USA (dove, come illustra la tabella riportata a pagina 54, tra i primi 20 paperback più venduti dell'anno ben 9 sono della serie TWD. E dove Image Comics, grazie alle copie che TWD ha venduto, è passata dal 5° posto del 2010 al 3° del 2011) ma non in Italia.

E questo, nonostante nelle fumetterie italiane TWD sia la serie americana più venduta in volume.
Nonostante sia il fumetto più venduto da sempre su IBS (occupando costantemente le prime 10 posizioni della classifica dei fumetti più venduti).
Nonostante sia una hit di vendita su Amazon e BOL (le altre due librerie che, con IBS, si spartiscono il mercato della vendita online in Italia)
Nonostante, sempre su IBS, sia uno dei pochi titoli a fumetti (anzi, credo l'unico negli ultimi mesi) che vende esattamente come gli altri libri non a fumetti.

E questo solo per parlare dei numeri.

Poi ci sarebbe – roba da niente – la qualità del lavoro di Robert Kirkman, Tony Moore e Charlie Adlard, gente che è riuscita a creare una narrazione seriale che va avanti da quasi 10 anni e che, mese dopo mese, è in grado di coinvolgere sempre nuovi lettori.

Ma di tutto questo a Paolo Guiducci e ai suoi pards pare proprio che non gliene freghi niente.
Tutti intenti a farsi i seghini su Bonelli e i bonellidi, loro fanno informazione come dicono loro e parlano solo di quello che vogliono loro.

Per carità, legittimo. Patetico ma legittimo. A patto che non si cerchi di venderla come una rivista che fa il bilancio su quello che, fumettisticamente parlando, è avvenuto nel 2011 in Italia.
Perché, dati alla mano, semplicemente non lo è.

A questo punto, poi, sottolineare che, nel bilancio del 2011, nemmeno una parola sia stata spesa per la qualità della nostra ristampa di The Rocketeer di Dave Stevens o di quella di Leo Pulp di Nizzi e Bonfatti (sarebbe bello ogni tanto ricordare che è stato quello il primo esperimento di serie a colori della Bonelli), beh, sarebbe davvero sparare sulla croce rossa.

Sorrido e mi consolo pensando che questa fitta schiera di braccia rubate al passaggio dei generi alimentari sul lettore di codici a barre non si è nemmeno accorta che nel 2011 è uscito Fantomax di Luigi Bernardi e Onofrio Catacchio, uno dei pochi momenti di seria e valida produzione fumettistica italiana degli ultimi anni che, per un attimo, ci ha fatto sperare che il fumetto in Italia non fosse ormai definitivamente spacciato.
Certamente loro Fantomax non l'avranno visto (come buona parte di chi si occupa dei premi fumettistici italiani, va detto). Ovvio, dove non c'è la cecità selettiva su quello che c'ha sopra il marchio saldaPress, subentra quell'altra che viene a forza di rincintrullirsi di pugnette su Tex e Zagor.

giovedì 15 marzo 2012

Zeta cuccagna.


Avete la barba? Avete gli occhiali? Avete tutti e due?

Ma, soprattutto, avete acquistato una copia di The Walking Dead vol. 11 secondo le modalità già descritte in QUESTO POST (e quindi, oltre che del suddetto volume, siete anche felici possessori di una bella cartolina esclusiva con cui fate rosicare gli amici)?

Bene, allora avete tutte le carte in regola per partecipare al primo, imprescindibile, incontestabile ZETA CONTEST.

Per scoprire come fare o cliccate QUI oppure QUI.

I primi 5 che arrivano si aggiudicano una copia del nostro The Walking MAD! fresco di stampa.
Gli altri, sbranati dagli zombie.

venerdì 9 marzo 2012

Telefilm Magazine.

Mamma mia che brutte facce su Telefilm Magazine di questo mese.
(fortuna che le 8 pagine dedicate a The Walking Dead rialzano un po' la media della rivista...)

giovedì 8 marzo 2012

Saluti da Raccoon City.

Vero che una cartolina è una cartolina e niente di più.
Ma vero anche che non è la prima volta che i salda-lettori (e i librai) ci dicono che gli farebbe piacere avere una cartolina di The Walking Dead.
E questo senza dimenticare quella strana razza che sono i collezionisti e che, pur lontani dai (ne)fasti del numero zero di Nathan Never con segnalibro, mi è giunta voce che siano riusciti ad assegnare un valore commerciale anche alla cartolina promozionale della nostra collana "Z" di un annetto fa.

E così, visto che la cartolina pareva gradita tra chi ci segue, abbiamo chiesto il permesso a Skybound di produrne una e ci siamo inventati un piccolo modo di utilizzarla per far sapere a chi segue TWD (magari acquistandolo on-line) che esiste in Italia una rete di negozi specializzati in fumetti (ne abbiamo selezionati 34 all'interno della rete di vendita di Alastor) dove, da venerdì (sì, domani) si potrà acquistare una copia di TWD vol. 11 un po' particolare perché... ha anche una cartolina.

I dettagli su come fare a partecipare all'iniziativa li trovate QUI (da dove potete partire anche per leggervi ben 22 pagine del nuovo volume di Kirkman e Adlard che... be', leggetevele e poi mi saprete dire). Se invece siete utenti Facebook, andate direttamente QUI.

Concludo dicendo che, per quel discorso di fare sistema di cui parlavo nel post precedente, questa piccola operazione promozionale è nata nell'ambito di una più ampia collaborazione con Capcom (il marchio della celebre zombie-saga videoludica Resident Evil) che, proprio sulle pagine del nostro volume, ha voluto presentare il suo prossimo titolo (RE: Operation Raccoon City, in uscita a fine mese) e che, promuovendo la nostra iniziativa all'interno dei propri canali di comunicazione, forse farà scoprire a qualche videogiocatore che ama gli zombie – e che magari TWD lo conosce solo per la serie tv – che esiste una serie a fumetti (e un'intera collana) dedicata al tema.

mercoledì 15 febbraio 2012

Fare sistema.


Questa cosa di The Walking Dead, nel tempo, mi ha insegnato un sacco di cose.

Ad esempio è stato molto istruttivo il viaggio negli States dello scorso anno per partecipare alla ComiCon di San Diego, il modo più semplice e diretto per toccare con mano come si è trasformata l'industria del fumetto americano in questi anni in cui si sono accorti dell'esistenza del fumetto a Hollywood e a... c'è un equivalente videoludico di Hollywood?

Ovviamente, tornando a The Walking Dead, una grande lezione (o, meglio, tante piccole lezioni) l'ho avuta dalla messa in onda della serie televisiva tratta dal fumetto creato da Robert Kirkman.

The Walking Dead prodotto da AMC è una serie televisiva di grande successo tratta da un fumetto di altrettanto grande successo.
Questa semplice verità è sempre in primo piano in tutta la comunicazione che, negli USA, viene fatta attorno al marchio TWD, sia che si parli di televisione oppure di videogiochi, di romanzi, di giochi da tavolo e via dicendo: il fumetto è il centro di tutta l'operazione.

Da questo punto di vista di assoluto comic pride, la serie televisiva ha prima tirato a bordo tutto il pubblico dei lettori del fumetto (che non ha tradito con una produzione furbetta di qualità mediocre come fanno in molti quando ci sono in ballo i fumetti: e quando leggerete il nostro The Walking Dead Chronicles – già, quando? – capirete meglio di che cosa sto parlando) e poi tutti quelli che in una produzione televisiva cercano intrattenimento, trama, storia, tensione e possibilmente qualcosa che fino a quel momento non hanno ancora visto (tipo gli zombie).
Da lì il circolo virtuoso che, dalla tv, ha rimandato al fumetto, con sempre nuovi lettori – spesso nuovi lettori di fumetto tout court – che, grazie alla serie tv di AMC, scoprono la serie pubblicata mensilmente da Image Comics.
L'equazione è tanto semplice quanto efficace: crescono gli spettatori, crescono i lettori.

Insomma, da un punto di vista di assoluta e orgogliosa onestà (quello che vedrete in tv è tratto da un fumetto, dichiara costantemente la produzione) l'operazione di TWD si è rivelata un assoluto successo. Per capirlo basta il dato di domenica scorsa, quando negli States è andata in onda l'ottava puntata, ovvero quella della ripresa di stagione: 8 milioni di spettatori che, contando le repliche, sono arrivati a 10 milioni (la seconda stagione aveva debuttato a 7,2 milioni e si era fermata alla settima puntata a 6,6 milioni. In Italia, gli spettatori sono stati 330 mila, ovvero appena 30mila sotto il debutto del 2010 che era stato un vero e proprio record per Sky).
Non male vero?

La cosa interessante, però, è anche che, subito dopo la puntata di The Walking Dead, domenica AMC ha mandato in onda la prima puntata di Comic Book Men, una nuova serie prodotta da Kevin Smith che racconta della varia umanità che ruota attorno a un negozio di fumetti. La puntata, grazie anche alla volata tiratagli da The Walking Dead, ha totalizzato 2 milioni di spettatori.

Il punto è proprio che, pur con tanti problemi, di là dell'Oceano hanno capito non solo che il fumetto può diventare un tassello importante dell'industria dell'intrattenimento ma anche che, se si vuole che quel tassello funzioni (= generi introiti per gli investitori)
1. non deve essere celata la sua natura di fumetto (perché un fumetto che vende è comunque un prodotto editoriale che vende, ovvero qualcosa che porta soldi a librai, edicolanti, distributori, grafici, impaginatori, tipografi, produttori di carta e via dicendo;
2. si deve fare sistema attorno a quel prodotto, magari, come nel caso di The Walking Dead/Comic Book Men, facendo seguire ad una serie di successo tratta da un fumetto un'altra serie che abbia al suo interno qualcosa di riconducibile al fumetto e che mantenga su quel canale tv i lettori/spettatori interessati all'argomento "fumetto".

La differenza con la realtà italiana salta all'occhio.
Qui da noi, tranne in alcuni casi illuminati di cui spero di potervi parlare presto (stiamo lavorando per voi... e per noi), che un prodotto X sia derivato da un fumetto non è assolutamente un valore aggiunto.
In generale, in una campagna di comunicazione per un prodotto di questo tipo, questa informazione bene che vada viene messa in secondo piano. Più spesso viene omessa proprio.
E non è un caso che proprio qui da noi si sia assistito al maggior grado di abuso del termine graphic novel, salvo poi scoprire che quel termine disinfettante applicato al fumetto non è servito a vendere una copia in più di quelle pubblicazioni a fumetti che ce lo portavano appiccicato addosso, con ovvio malcontento di tutta la catena editoriale di cui sopra.
Eppure qui da noi, esattamente come negli USA (ma con numeri ovviamente più piccoli), i lettori del fumetto TWD aumentano man mano che la serie tv prosegue e, man mano che i lettori del fumetto crescono, crescono gli spettatori della serie tv (quelli ufficiali di Sky e quelli non ufficiali del popolo del download). Ma, nonostante ciò, far dialogare questi due mondi portandoli a fare sistema pare impossibile, con il risultato che la programmazione tv e la pubblicazione del fumetto vanno ognuno per la propria strada.

Il problema è che, come si diceva nel post precedente a questo, è proprio il concetto di "fare sistema" che in Italia non è mai esistito.
In Italia esistono – e sono fortissime – la cultura che ognuno possa fare tutto per conto proprio e la tendenza monopolistica a considerare chi è più piccolo come un'inutile complicazione.
Non esiste minimamente la consapevolezza del fatto che fare sistema sposta da un sistema additivo a uno moltiplicativo.
Non sempre è così (e non è stato sempre così nel nostro caso, ci tengo a sottolinearlo), ma spesso sì.

E dal discorso generale, ritorno al fumetto.
Il fumetto oggi, in maniera assolutamente naturale, dialoga con il cinema, la televisione, i videogame (ma anche con l'industria del merchandising, dei giocattoli e della gadgetistica) e raggiunge una fascia di pubblico/consumatori dall'età molto ampia.
Roba che i reparti marketing che studiano le possibili collocazioni e declinazioni di prodotto si sognano di notte, soprattutto in questo periodo di vacche più che magre direi tendenti all'anoressico.

Eppure, anche intorno al fumetto, zero sistema e – chiusura dolente – solo il macro esempio di Repubblica che dopo centinaia di volumi passati al colore di Tex non riesce ad azzardare niente di più di un'altra badilata di volumi di Zagor passati al colore.

Esiste qualcosa di peggio di due realtà che non dialogano per fare sistema? Certo: due realtà che dialogano per non farlo.

sabato 28 gennaio 2012

All-Winners Squad: Band of Heroes.

Qualche mesetto fa mi suona il telefono e, com'è come non è, mi si dice: "Sì, vabbè, però te con la Panini c'hai il dente avvelenato. Manco che Lupoi t'avesse stirato il gatto col SUV. E poi, tra colleghi non ci sfancula via web che quando inizi anche tu a pubblicare i giornaletti, anche se ancora li leggi, poi non puoi più dire che quello è bruttarello, quell'altro fa ridere come un gavettone a dicembre e quell'altro ancora è Nirvana. Non lo puoi più fare, soprattutto se usi il megafono del tuo personale blog dove, da sempre, sei severo ma giusto. Non lo puoi più dire perché tra gentlemen publishers – come io ora con benedizione dall'alto calata ti battezzo – ci si chiama al telefono in vivavoce mentre si sfreccia verso il weekend, magari ci si da un appuntamento per il brunch e poi lì, tra un croissant e un sorso di caffè lungo, ci si scambiano i consigli, così tutto l'ambiente cresce e prospera come dici tu che vorresti che esistesse un vaccino per i lettori pecoroni."

E questa era una premessa.

Ma ora parliamo di Band of Heroes, di Paul Jenkins e di quel talentaccio di Carmine Di Giandomenico che, essendo amico mio, si becca il "talentaccio" (Jenkins pure è bravo ma, non conoscendolo, non mi azzardo).

Band of Heroes è una miniserie di 8 numeri (appuntatevela da qualche parte 'sta cosa perché, ai fini del lungo discorso che sto per propinarvi, è importante) ambientata durante la seconda Guerra Mondiale, una delle tante iniziative messe in piedi l'anno scorso da Marvel Comics per fare da contorno al debutto cinematografico di Capitan America.
La storia non parla del signore con la grossa "A" stampata sulla fronte (o, almeno, per fortuna, lo fa solo marginalmente) ma di una squadra segreta di supereroi mandati al fronte a combattere in trincea  giappi e crucchi e che il Primo Vendicatore di cui sopra si limita più o meno a coordinare. Ognuno di questi eroi ha un suo superpotere e ognuno di quei superpoteri – qui l'invenzione narrativa di Jenkins – è stato al centro di un fumetto pubblicato durante le guerra dalla casa editrice Timely Comics (ovvero quella che sarebbe poi diventata la Marvel Comics), fumetti che la gente a casa leggeva e attraverso i quali l'esercito faceva azione di propaganda per gli arruolamenti.
Uso il tempo passato perché la storia inizia ai giorni nostri, quando uno di questi supereroi, Giovane Vendicatore, ormai anziano vendicatore, decide di svelare alla nipote la sua identità segreta del tempo di guerra. Le racconta anche la storia di uno di questi supereroi che la Storia (quella con la "S" maiuscola, appunto) ha dimenticato, Capitan Fiamma (sic!), spiegandole la verità dietro a quel primo numero della serie di Capitan Fiamma pubblicato ma mai arrivato nelle edicole che, però, lui è fortunosamente riuscito a salvare dal macero.
Da lì si va di flashback in flashback, a seguire la "Banda degli eroi (super)" attraverso i vari scenari dello scorso conflitto bellico mentre, nel presente, la nipote di Young Avenger (che nel frattempo è passato a miglior vita senza fare in tempo a svelare il mistero di cui sopra) indaga, facendo lo slalom tra il dio nordico Loki che gli appare in salotto, i servizi segreti e l'immancabile Shield di Nick Fury, tutti dietro quello che è conosciuto come il "Firefly project" e che pare il segreto meglio nascosto della Seconda Guerra Mondiale (ma che sono sicuro che nemmeno voi ci metterete molto a indovinare qual è).

Si diceva dell'invenzione narrativa di Jenkins.
Senza tanti giri di parole, Jenkins ci dice che le guerre si vincono tanto con le armi quanto con la propaganda, ovvero declinando a fumetti quella stessa idea che Clint Eastwood ha raccontato in Flags of our fathers.
Ve lo traduco: l'anno scorso è uscito negli USA un fumetto che diceva che i fumetti possono essere delle armi e che, durante la seconda Guerra Mondiale, quella che oggi è la Marvel Comics fabbricava armi, strumenti utili come i fucili e i cannoni a vincere la Guerra.
Che qui se uno si azzarda a scrivere "Fu vera gloria?" è un attimo che tutti lo additano come una brutta persona.

Ora, chi vi scrive, pur essendo stato per decenni lettore di fumetti di supereroi, oggi li trova una delle cose più noiose da leggere. In particolare quelli targati Marvel Comics che, per come la vedo io, hanno deciso di diventare moderni nel modo più gnocco possibile (sì, sto parlando di Civil War e di tutto quello che ne è seguito).
Ma, nonostante ciò, non mi perdo una storia che sia una di quelle che disegna Carmine per la Marvel. Perché Carmine, come già detto, è un talentaccio del narrare una storia attraverso le immagini. E lo resta anche sotto tutti quegli inutili strati di bagliori, sfocature, colori presi dalla tavolozza Carioca con cui il dio del Photoshop che gli americani adorano cerca di seppellirlo.
E in Band of Heroes Carmine è a livelli altissimi, roba che si vede lontano un miglio che, mentre sfornava una dietro l'altra le tavole del fumetto, tornava a quando aveva 8 anni e giocava coi soldatini, perché il piacere che ci comunicano le sue tavole è proprio quello (e, detto tra noi, gli elmetti degli yankee che disegna qui sono molto più belli di quelli dei crucchi che ha disegnato in Magneto Testament).

E, detto questo, ora mi tocca parlare anche di quello che proprio non mi è piaciuto di Band of Heroes.

Prima di tutto, le copertine: senza tanti giri di parole, hanno assegnato a Band of Heroes il copertinista più bolso e statico che girava in quei mesi per gli uffici della Marvel, uno dei tanti con quello stile noisamente realistico per cui un giorno Alex Ross dovrà rendere conto davanti a un tribunale (chiaro, perché chiedere a Carmine di disegnare anche le copertine quando hai sotto mano questo campioncino della mummificazione dell'azione?)
Poi, per aiutare il copertinista nella sua inefficacia, hanno deciso che questa miniserie non meritava un logo. Una bella scritta in Helvetica e via a pedalare. Vi lascio immaginare il risultato gestaltico sullo scaffale (oh, magari così piatta, nel marasma dello scaffale americano la copertina risaltava pure).
E quindi passiamo al colorista. Sai hai a disposizione il segno iperdettagliato di Carmine (che ti fa anche i toni di grigio), tu colorista devi lavorare di sottrazione. Devi fare un passettino indietro e creare dei piani che aiutino la lettura, non cercare di emergere a colpi di Photoshop (specie nelle scene di combattimento).
E soprattutto – ma qui forse le bacchettate sono da distribuire equamente tra colorista ed editor – se il disegnatore ti suggerisce che ci potrebbero essere tre piani grafici (il presente con una colorazione marvel style, un passato con colori desaturati alla Band of Brother – appunto – o alla Salvate il soldato Ryan e le pagine dei fumetti Timely raccontate a forza di retinoni sgranati), tu quel suggerimento lo devi ascoltare e seguire. Perché è la modulazione che crea il piacere di qualsiasi lettura, testone!

Ma quello che non mi è piaciuto proprio per niente è che Marvel Comics, arrivata al 5° numero (di 8, non di 108, sia ben chiaro), abbia detto "ragazzi, 'sto fumetto non vende quanto ci aspettavamo. E quindi licenziamo l'editor e decidiamo di sospenderlo").
Ma si potrà fare una roba del genere?
5 numeri già pubblicati, altri 2 già disegnati (già disegnati!) e la Marvel Comics non è nemmeno in grado di portare a conclusione la miniserie?
Sta messa bene la Casa delle idee...

E qui torniamo alla premessa (so che ve lo aspettavate, cari i miei 5 lettori e mezzo).
Facciamo finta di essere seduti al brunch e che, tra il tintinnio dei bicchieri e il brusio di cento piani editoriali pacatamente ragionati, stiamo chiacchierando amabilmente, cari colleghi editori modenesi.
Vi posso dare un consiglio? Ve lo do.

Prendete il telefono e chiamate gli uffici della Marvel Comics.
Vi fate passare Joe Quesada da Paperoga e, senza stare lì a ciurlare nel manico, gli dite: "Joe, se Band of Heroes voi non lo volete finire, lo finiamo noi italiani".
Poi, ottenuta la benedizione di Joe, fate un'altra telefonata intercontinentale e chiamate Carmine a Teramo. Gli dite: "Carmine, finisci di disegnare l'ultima storia: te la paghiamo noi. Poi prendiamo il tutto, le 5 storie già pubblicate e le 3 inedite, ti rimettiamo a posto la colorazione come doveva essere e ti ci facciamo un bel volumone che se lo pubblicassero i saldatori finirebbe diritto nella collana Maèstro. Una di quelle robe che poi lo voglio vedere Ciccarelli a dire che la Panini è la Morte Nera del fumetto italiano. Un bel volumazzo che celebri uno dei più bravi disegnatori che abbiamo oggi in Italia - sì, tu Carmine! – un disegnatore davanti al quale noi ora, con questo Band of Heroes ci cospargiamo il capino di cenere perché fino ad oggi non ci siamo nemmeno degnati di tenere disponibili per chi li voleva ordinare i 3 o 4 volumi della Marvel su cui hai lavorato".

Ecco, secondo me, questo è un bel progetto a cui una casa editrice con buone disponibilità economiche e che dice di amare il fumetto (e i suoi autori, soprattutto quelli italiani) si potrebbe dedicare senza particolari difficoltà (e notate che ho scritto "potrebbe" e non "dovrebbe").

Ma sono sicuro che voi, colleghi modenesi, ci avete già pensato e che la telefonata a Quesada è partita nell'esatto momento in cui la Marvel ha comunicato che stoppava la miniserie di Jenkins e Carmine al quinto numero.

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Piccola nota a margine per i miei cinque lettori e mezzo: se vi piace il lavoro di Carmine e vi va di fare due chiacchiere con lui sul suo lavoro, progetti passati e futuri, il prossimo 6 febbraio, fate un salto sulla sua pagina Facebook dalle 20 alle 22. Lo troverete lì pronto a rispondere alle vostre domande.


mercoledì 18 gennaio 2012

Nirvana (reprise).


Nirvana.... Nirvana...
Dunque sì, anni fa c'è stata una serie che si intitolava Nirvana.

Mi pare che, quando uscì, il primo numero lasciò più o meno tutti perplessi. Da cosa si capì che lascio più o meno tutti perplessi? Ah, beh, soprattutto dal fatto che l'italico fumettomondo – che di solito si scambiava delle gran pacche sulle spalle per qualsiasi boiata – sull'uscita di Nirvana a grandi linee fece finta di niente.

Poi però uscì il secondo numero e la perplessità si tramutò in profondo imbarazzo. Ma imbarazzo serio, eh. Tipo quello che c'ha disegnato in faccia Fini quando Berlusconi dice al parlamentare tedesco "la raccomanderò per il ruolo di kapò".
Giuro, finivi di leggere l'albo e ti sentivi in colpa verso i bambini che in Africa non hanno da mangiare mentre tu butti via così quasi 3 euro.

Il terzo numero fu il punto più basso, roba che ancora in Panini hanno appeso al muro il grafico delle vendite con sopra scritto "quando succede questo, decapitare subito uno del marketing a caso".
Credo che fu lì che chiesero scusa a Fornaroli per Titeuf.

Con il quarto numero gli autori provarono in extremis a giocarsi la carta di una comparsata di Don Zauker ma la cosa non servì a cambiare di molto le cose.
I soliti italiani che, dopo una vita di bestemmie, in punto di morte vogliono accanto il prete...

Si dice che esista un quinto numero di Nirvana, disegnato, pagato e mai pubblicato. Si dice anche che la Bao si fosse offerta di acquistarlo per 1 milione di euro ma come leggenda fumettistica se la gioca con le tavole disegnate da Al Columbia per il Big Numbers di Alan Moore.

Pare anche che Lupoi conservi Ramiro nella grafite come Han Solo ne Il ritorno dello Jedi.
In un trittico, con RigelDavid Murphy.

venerdì 28 ottobre 2011

The Rocketeer: repliche e Mollica.

E, visto che nel post precedente si parlava di The Rocketeer, se avete 6000 dollari che vi avanzano e il vostro desiderio segreto è quello di indossare i panni dell'eroe creato da Dave Stevens, date un'occhiata QUI.

Se invece di soldi da spendere non ne avete (ma avete un paio di minuti), vi potete vedere QUI la puntata dello scorso 1 ottobre della rubrica Doreciakgulp in cui Vincenzo Mollica, abbondando in inquadrature di natiche disegnate da Stevens (me l'ha fatto notare mia mamma), segnala la nostra edizione del libro.

giovedì 27 ottobre 2011

Rrobeteer reprise.

E dopo lunga attesa, la proverbiale seconda scarpa cade e il Rrobe nazionale finalmente recensisce QUI anche il secondo volume del nostro The Rocketeer.
E pure stavolta sembra che gli sia piaciuto.

Però, per quello che riguarda la seconda parte della recensione, mi sento però di dover dare delle risposte a quello che Roberto scrive: la ARTIST'S EDITION di IDW (l'editore USA di The Rocketeer) di cui parla lui, anche se è davvero bellissima (è un volume da 100 dollari contenente tutte le tavole originali disegnate da Stevens, scansionate e stampate in grande formato), non contiene materiali extra e ovviamente è in bianco e nero (senza contare che pubblicare la scansione delle tavole originali di Stevens cancellando il lettering originale per metterci la nostra traduzione credo che tutti concorderanno che non avrebbe avuto molto senso).
I materiali extra che esistono sono tutti quelli che abbiamo pubblicato noi e provenienti dalla COMPLETE DELUXE EDITION di IDW.
La nostra edizione, infatti, è la Complete Deluxe Edition di IDW (e, per esplicita richiesta di IDW e degli eredi di Stevens, nella nostra edizione non potevamo escludere nessuno dei materiali extra di quella USA) e quindi se, come scrive Roberto, il volume "non è così completo, ricco e esaustivo come lo avrebbero voluto gli appassionati di questo autore", con buona pace di ciò che vorrebbero gli appassionati del lavoro di Stevens, noi non sappiamo davvero che farci: quello che esiste è stato pubblicato senza lasciare fuori nulla.
Le uniche varianti che ci sono state concesse sono state quelle di dividere il volume americano in due volumi, di cambiare leggermente il formato in larghezza, di rilegare i volumi con brossura e bandelle e – a mio avviso – di stamparli su carta migliore di quella usata da IDW.
Ora, i nostri 2 volumi complessivamente costano 49 euro mentre la Complete Deluxe Edition costa 75 dollari.

Diverso il discorso su un'edizione economica del libro che Roberto suggerisce e che effettivamente stiamo valutando insieme a qualche altra iniziativa mirata a proseguire il discorso iniziato sul recupero dell'arte di Dave Stevens.

giovedì 29 settembre 2011

Billy Bat.

Urasawa-san, famo a capisse.
Hai creato una storia avvincente che dà il piacere di aspettare ogni nuova uscita della serie, un manga elegante che, con la scusa del mistery, parla del rapporto tra industria fumettistica americana e giapponese e che, pur non facendolo con nomi e cognomi, mi sa che metterà qualche puntino sulle "i" dell'annosa questione dei rapporti (e dei plagi) tra Walt Disney e Osamu Tezuka.
Come se non bastasse questo tema già abbastanza impegnativo da trattare senza cadere nell'autoreferenzialità (e quindi nella noia), in tre volumi c'hai messo dentro l'occupazione americana sul suolo giapponese subito dopo la II guerra mondiale, Gesù Cristo, la Coca Cola, la brandizzazione della società contemporanea, le lotte dei neri per la rivendicazione dei loro diritti negli USA degli anni '60, i missionari gesuiti e i ninja.
E fin qui la storia regge.
Ora, ti prego, non mandare tutto a puttane fra quattro o cinque volumi come di solito fai (sì, parlo proprio di Pluto).
Per una volta, smentiscimi nella mia profonda convinzione che sei tu il massimo rappresentante a livello fumettistico del PARFAC-pensiero.

venerdì 9 settembre 2011

NOTES 2011.

Se questo fine settimana (sabato 10 e domenica 11 settembre) capitate dalla parti di Reggio Emilia e vi va di passare a farmi un saluto, fate un salto a NOTES 2011, manifestazione presso la quale mi troverete con lo stand della salda-casa editrice.

(se vi sto le balle e non vi va di farmi un saluto, non mi sembra un buon motivo per perdersi NOTES 2011 perché... lo spiego dopo la parentesi. Su, uscite che devo chiuderla)

NOTES 2011 è una 2 giorni creata e organizzata dalla cooperativa sociale "Bottega del Lavoro".
Si svolge a Reggio Emilia, presso il parco "Legnolandia" di Via Cecati (quello di fianco al cimitero monumentale, anche se tutti i reggiani – superstiziosi – preferiscono dire "quello dietro il negozio Reggio Gas". Comunque sia, con i lavori in corso di via Cecati, è comodo parcheggiare nel parcheggione di fianco... al cimitero monumentale. E poi si raggiunge il parco tramite un viottolo. Occhio agli zombie).
La bella immagine di NOTES 2001 è dell'esimio Roberto "el peonza" Zambelloni.

Dato che il sottotitolo della due giorni di NOTES è "parole e jazz: improvvisazione letteraria e musicale", sabato (dalle 15,00 fino a sera) si parlerà di EDITORIA, con letture e presentazioni di libri (un po' per i bambini e un po' per gli adulti).
Alla sera ci sarà una cosa particolare di Aldo Gianolio a metà tra la lettura e il concerto che farà un po' da ponte tra il programma di sabato e quello del giorno successivo.

Domenica,  infatti, è la giornata dedicata alla MUSICA: dalle 11,00 di mattina fino a sera, si terranno nel parco un sacco di concerti jazz di vario tipo (swing & jive, be bop, bossa nova, modale etc.), con una jam session finale aperta al pubblico in serata.
Completano il programma della due giorni, qualche laboratorio dedicato ai bambini e la presenza di una decina di stand di varie case editrici (non solo a fumetti).

L'entrata è gratuita (concerti compresi) e mi sembra di avere capito che sarà in funzione anche un punto ristoro.

Io sono stato invitato per fare 4 chiacchiere con Massimo Bonfatti (sul suo lavoro, da "Cattivik" a "Capelli Lunghi" passando per l'appena ristampato "Leo Pulp") e per partecipare con altre case editrici (Lateral Studio, Vincent Books, Comix Comunity) ad un incontro con il pubblico in cui si parlerà di come si scelgono e si pubblicano i libri a fumetti (o, meglio, di come ognuno di noi lo fa).
Entrambi gli incontri sono sabato, quello con Bonfatti alle 17,00 e l'altro con le case editrici alle 19,00.

Il resto del programma (più qualche altra info) lo trovate QUI (o cliccando sull'immagine in basso per ingrandirla).

Secondo me, se il tempo tiene, sarà una cosa divertente.

mercoledì 7 settembre 2011

In bocca al lupo Gipi!

68° Edizione del festival del Cinema di Venezia
17:15 Sala Grande
L’ULTIMO TERRESTRE
di Gian Alfonso Pacinotti (Italia, 100’, v.o. italiano s/t inglese)
con Gabriele Spinelli, Anna Bellato, Roberto Herlitzka, Teco Celio

giovedì 11 agosto 2011

Senza entrare nel merito (almeno non troppo).

Senza entrare (troppo) nel merito di chi ha ragione e di chi ha torto (che personalmente, in riferimento all'argomento specifico, è una cosa che mi interessa poco) e a prescindere se certi modi possono risultare fastidiosi o meno, accennare a qualunque livello a dei paragoni tra chi fa delle domande (appunto, senza entrare nel merito della qualità delle stesse, solo delle domande poste pubblicamente) e chi nel secolo scorso si è macchiato di razzismo e di antisemitismo, beh, per me questa è una cosa che sta al di fuori di qualunque comprensione.

E quindi, in riferimento alla querelle Bottero/Messina (Fumetto d'Autore) e Barbieri, pur stimando Daniele Barbieri (sia il suo lavoro sia come persona), non posso non criticarlo per l'esempio utilizzato (e quindi, in sostanza, dare ragione ad Alessandro Bottero per quello che scrive QUI, link dal quale poi, se avete voglia, a botte di ipetersto potete ricostruire con esattezza chi ha scritto cosa dalla voce diretta di chi l'ha scritto).

E questo era a mo' di premessa.
Domande fastidiose da una parte. Antisemitismo e derivati dall'altra.
E in mezzo un bel muro altoaltoalto (con sopra cocci di bottiglia).

Io leggo Fumetto d'autore.
E siccome lo leggo, toh, lo linko pure: www.fumettodautore.com
Se non mi piacesse leggerlo non lo farei. Quindi, mi piace leggere FdA.
Più o meno ogni volta che esce un articolo di Giorgio Messina (o un editoriale di Alessandro Bottero), nella fumettosfera nostrana, com'è come non è, scoppia una merda.
Segno che Bottero e Messina sono dei provocatori?
Magari sì, ma anche segno che, quando scrivono qualcosa, Bottero e Messina sanno mettere il dito dove brucia.
Forse soprattutto segno che nella fumettosfera la concorrenza sull'informazione non è che sia proprio grandissima.
Di sicuro segno che non sono da solo a leggere FdA.

Ora, spesso non sono d'accordo con quello che viene scritto da Alessandro e Giorgio.
Però, anche quando non sono stato d'accordo con le loro idee e con i modi con cui tale idee venivano esposte (arrivando anche a manifestare tale disaccordo con dei chiari "vaffanculo"), non mi è mai passato nemmeno lontanamente per la testa che in fondo sarebbe meglio se la voce di FdA non esistesse.
Discorso che ovviamente vale per FdA come per tanti altri siti, blog e riviste cartacee.
Perché è questo in sostanza che ti chiede chi ti propone di partecipare a qualsiasi livello ad un complotto del silenzio: di cancellare con il tuo silenzio l'esistenza di qualcos'altro.
O, peggio, di qualcun'altro.

Oè, ma stiamo scherzando?

Se vogliamo dire che quello che viene scritto su FdA è una mistificazione della realtà dei fatti, allora questa mistificazione non la si può eliminare chiedendo, sulla base di un patto di fiducia, il silenzio e neppure, d'altra parte, alzando i toni (che il rumore, alla fine, è come il silenzio).

Io credo che più senti che le accuse che qualcuno ti sta facendo sono gravi, più devi aver voglia di spiegare le tue ragioni. Di dire chiaramente che quello che qualcuno scrive è falso (o, come a volte accade, è scritto per sembrare una cosa che invece non è), di dire che le cose stanno in un altro modo rispetto a come vengono raccontate.
Sarà anche vero che la calunnia è un venticello, ma, in parallelo, la verità ha una concretezza contro la quale quel venticello può fare ben poco. Soprattutto quando la verità si appoggia alla credibilità di chi parla (e, per me, Michele Ginevra, grazie al lavoro svolto con il CfAPaz, di credibilità ne ha).
È questo il principio della libertà e, se lo si accetta, non lo si può prendere a macchia di leopardo.

E se qualcuno va oltre le regole, beh, allora esiste ancora la legge.

In parallelo, diamo una giusta dimensione alle cose: senza voler togliere niente a nessuno, FdA è un piccolo sito che si occupa di un piccolo mondo come quello del fumetto italiano.
Niente di più e niente di meno.
Per cui lasciamo da parte le "macchine del fango" o altre frasi fatte che lasciano il tempo che trovano.
Al massimo, eventualmente, un bicicletta del fango contro la quale comunque, fermo restando il ricorso alle vie legali di cui sopra, ognuno che si sente offeso o calunniato per qualcosa ha tutti i mezzi per potersi difendere.

Per cui, riassumendo.
Domande fastidiose da una parte. Antisemitismo e derivati dall'altra.
E in mezzo un bel muro altoaltoalto (con sopra cocci di bottiglia).
E, in ogni caso, se devo scegliere tra il silenzio e le domande, cazzo, io scelgo comunque le domande anche se chi le pone mi può stare sulle balle.
Perché il silenzio finisce lì, mentre le domande generano delle risposte. E tra domande e risposte c'è la possibilità (non la certezza) che nasca la conoscenza
Il silenzio invece (e questa sì che è una certezza che la storia ci insegna) genera sempre e comunque ignoranza.

Mi dispiace se scrivendo tutto questo ho alimentato la polemica ma, standomene zitto, mi sembrava di appoggiare implicitamente un modo di fare che per principio detesto.

lunedì 8 agosto 2011

Ancora su The Rocketeer (e Maèstro).


In attesa che cada la proverbiale seconda scarpa del Rrobe nazionale (= che esca la seconda parte della sua lunga recensione/disamina della salda-edizione di The Rocketeer) vi segnalo due altri interessanti interventi a riguardo che, se vi va, vi consiglio di leggere.

Il primo, la recensione firmata da Giorgio Messina di Fumettodautore.com, lo potete leggere QUI.
Il secondo, l'endorsement al progetto Maèstro del decano dei titoli bloggheschi Andrea Voglino, lo trovate QUI.
E visto che pare che tre sia il numero perfetto, ve ne segnalo anche un terzo in cui si scopre cosa ne pensa di Maèstro l'amico Petrucci (da leggere QUI).

Ringrazio Giorgio, Andrea e Michele per le parole spese per la collana (un progetto che, come ormai saprete, ho molto a cuore) e, se vi va, vi invito a dire la vostra su Maèstro (e sui singoli titoli) qui sotto.
Ad esempio sul rapporto qualità/quantità/prezzo della collana, argomento che, a prescindere dai 3 interventi di cui sopra, sembra che la faccia più o meno da padrone su tutti gli interventi che mi è capitato di leggere in giro.

martedì 2 agosto 2011

Lei, Diana, ci rimane malissimo.


L'Antro Atomico del Dott. Manhattan è per me una scoperta recente (e infatti è da poco che è entrato nella barra dei miei blog preferiti qui a lato) e, senza farla tanto lunga (che scrivere un post su Ipad è un grattugiamento di palle, per non parlare dell'inserimento dei bold e dei corsivi o se ti capita di dove correggere un errore di battitura), ogni volta che lo leggo mi sbellico discretamente dalle risate.
Ho appena letto quello dedicato al pilot della serie tv abortita di Wonder Woman e non posso che consigliarvelo.
Il pezzo lo potete leggere QUI.

giovedì 7 luglio 2011

Rrobeteer.

Titolo in puro Voglino style (un maestro inarrivabile nel genere) per dire che Roberto Recchioni ha appena pubblicato sul suo blog un bell'articolo (in due parti) su The Rocketeer di Dave Stevens.

La prima parte la trovate QUI.

(Io intervengo nei commenti giusto per puntualizzare un paio di cose secondo me importanti)