Rappresentare la depressione non è facile, anche perché spesso rappresentare diventa spettacolarizzare.
Niente di male nello spettacolarizzare la depressione (solo recentemente, al cinema, l'ha fatto Lars Von Trier con Melancholia e, con minori risultati, Paolo Sorrentino con This must be the place. Di entrambi mi sarebbe piaciuto parlarmene quando era tempo ma... cazzo, chi si ricorda più cosa volevo dire?) ma, se qualcosa può essere oggetto di spettacolo, quasi automaticamente diventa anche oggetto commercializzabile.
E se oggi, caduto il dogma dell'unicità terapeutica, per tanti motivi esiste quello che viene definito "mercato delle psicoterapie", perché stupirsi che un sottotesto depressivo possa essere utilizzato per vendere una merce?
Lunga premessa per parlare del recente spot Ferrarelle con protagonista Gianluigi Buffon.
Grazie a fratello youtube, lo vediamo qui sotto:
Gianluigi Buffon è più o meno l'icona contemporanea del portiere (credo insieme a Dino Zoff e Walter Zenga. Ovvio, appiattendo la realtà calcistica mondiale su quella italiana...) anche perché, tra una cosa e l'altra, mi pare che sia stato eletto per diverse volte "miglior portiere mondiale dell'anno".
Come soprannome Buffon si porta dietro quello che, a lungo andare, a molti potrebbe dare una certa ansia da prestazione: Superman. Altre volte invece è più semplicemente IL portiere, concetto sul quale ruota lo spot di Ferrarelle.
Com'è, come non è, un giorno IL portiere decide di regalare al mondo la sua biografia.
La scrive con l'aiuto del giornalista Roberto Perrone e decide di intitolarla "Numero 1".
Più o meno il tema del lancio del libro è "Ok i successi e le super parate ma, lontano dai flash e dalle telecamere, anche i numeri 1, i Supermen, sono vulnerabili: e infatti anche Gigi Buffon, nonostante i tanti successi che gli ha regalato una vita invidiabile per ognuno di noi miseri mortali, sapete, anche lui è stato vittima... della depressione".
E da lì Buffon è un po' diventato una delle italiche icone della depressione, la figurina che ancora ci mancava nell'album: quella del ragazzone solare (e un po' fascio) che ha tutto e che, nonostante ciò, si ammala di depressione ("sei mesi e poi, grazie alla terapia, è passata", si affretta a chiarire Buffon. Vabbè...)
E da qui arriviamo allo spot Ferrarelle.
Lo spot è raccontato da Alena Seredova che, pur definita ironicamente nel filmato la personal trainer di Buffon, in realtà è la compagna del super portiere (il che già la dice lunga sull'idea di rapporto tra uomo e donna che questo spot ci invita a condividere).
Ora, anche se nel filmato la vediamo vestita un po' da suora laica (meglio: il maggior grado di suoralaicità che si può appiccicare al corpo della Seredova senza bisogno di invocare la sospensione di incredulità), nell'immaginario collettivo Alena Seredova è altro.
Per capire qual è questo "altro" dell'immaginario collettivo, oggi basta chiederlo a zio Google.
E la risposta è più o meno questa:
Insomma, questo è il setting che lo spettatore ha in in mente nel momento in cui affronta lo spot, l'orizzonte narrativo su cui si appresta a prendere forma l'epica in 30 secondi con protagonista l'eroico difensore dell'area di rigore e la sua bella dalle voluttuose grazie.
E che cosa ci racconta questo spot?
Ci racconta – per voce di chi, come la Seredova, conosce sicuramente Buffon meglio di chiunque altro – che il portiere Superman, un bel giorno ci è entrato talmente dentro al suo ruolo di portiere da avere ad un certo punto un po' sbroccato e, da uno che di lavoro faceva il portiere, è diventato un portiere che è un portiere in qualunque cosa faccia.
Sai, capita se non smetti mai di lavorare.
Come un falegname che un giorno torna a casa e si mette a piallare tutti i mobili o un somellier che, al supermercato, improvvisamente non può fare a meno di assaggiare tutto lo scaffale dei vini.
Alienante, vero?
Cioè, punto uno: la depressione ti fa deragliare dal tuo ruolo nel mondo. Non cancella chi sei ma lo gonfia fino al parossismo.
Fa di te una maschera, magari quella del buffon...e (che, appunto, in inglese è il fool).
Una maschera che, se pure ha incisi tutti i segni necessari per ricostruire l'identità del soggetto che c'è sotto di lei, in modo grottesco denuncia pure tutti i sintomi di un'inarrestabile fallimento dello stesso soggetto.
Perché, si sa, le porte (che anche lo spot cita) aprono a mondi possibili e si spalancano su stanze della mente in cui si può entrare senza più riuscire ad uscirne (come sapeva bene Kubrick quando ne infilava un centinaio nel suo Shining).
Insomma, il Superman esploso nella depressione sta lì, nel suo mondo tutto up (e infatti, a un certo punto, nello spot si parla proprio di esaltazione) fino a che, come in ogni sindrome bipolare che si rispetti, improvvisamente il sole si oscura e lì, in mezzo al campo di calcio della vita, arriva il down.
Ovvero, il super-portiere si trasforma in uno che non riesce più nemmeno a prendere al volo una bottiglietta di plastica e, con grande imbarazzo suo e altrui, mette in scena lo spettacolo dell'improvvisa incapacità di vivere il proprio ruolo nel mondo (primo segno: non riuscire più a svolgere quel lavoro in cui, fino a ieri, si identificava e che per lui era facile e spontaneo fare come... bere un bicchier d'acqua).
Accorrete, pubblico. Venite ad ammirare con i vostri occhi il tremendo spettacolo dell'uomo imbattibile messo in ginocchio da un nemico forse più grande di lui.
L'orrore, l'orrore...
Ma ecco spuntare la donna (in realtà più madre che compagna), la madonna semi-angelicata di cui qualsiasi grado di colorata aggressività erotica è stato sbiadito in un'ininterrotta gamma di innocui grigi.
Ecco che, dagli spalti della vita in stile Grease, questa moderna Sandy interviene nel racconto a tirare fuori per i capelli l'amato Danny dal pantano in cui è finito. Because, you're the one that I want, uh uh uh...
Abbiate fiducia in lui, ci dice la donna, perché lo smarrimento del mio (e vostro) eroe è momentaneo: basta avere un po' di pazienza e aspettare il terapeutico sorso lungo (o breve, a seconda dei punti di vista) sei mesi, e hoplà, sullo squillo delle epiche trombe di 90° minuto, ecco che l'eroe risorge dagli abissi della depressione e ritorna a noi, forse ancor più imbattibile di prima.
Non più liscio/down, ma nemmeno più gassato/up.
La cura per lui (e per noi, obiettivo ultimo di questo raccontino morale proiettato sulle pareti catodiche della nostra platonica caverna) è il riallineamento su una salutare medietà.
La depressione è svanita. Sconfitta, umiliata. Superman ha vinto. Lunga vita a Superman.
Ma, purtroppo, Superman non lo sa che la tv è il luogo della rappresentazione nevrotica per eccellenza.
Non lo sa che nella tv ognuno è costretto a rivivere all'infinito ogni storia che ha già vissuto, che la tv è una stanza di specchi (che riflettono specchi, grazie al moltiplicarsi sulla rete dello spettacolo televisivo) dove, nello spazio tra uno stacco pubblicitario e l'altro, ogni personaggio è eternamente condannato ad essere chi è già stato.
Perché forse, dopo la storia dell'acqua del super portiere, andrà in onda quell'altra dell'acqua del fiume dell'oblio.
L'acqua (del) Lete, appunto,
se ogni spottino da 4 soldi ti fa fare riflessioni del genere dev'essere problematico guardare la tivvù :)
RispondiEliminaO__O
RispondiElimina(comunque Buffon non è un pò fascio: è MOLTO fascio)
Un annetto di catena di montaggio. Otto ore al giorno, davanti al nastro trasportatore.
RispondiEliminaMmm... non so perché ma questo riferimento alla catena di montaggio non mi è nuovo.
RispondiEliminaah ah grande Cicca... e anche Petrucci ;-) per la cronaca, il portierone che sta con la finta suora ha ammesso di aver comprato il diploma (“fu un gesto di slealtà nei confronti degli altri e io di solito sono molto leale. Anche nei confronti dei miei genitori, che sono pure professori: il figlio che compra il diploma non è proprio il top”), nel 2006 è stato indagato per 5 partite dell’anno prima (compresi preliminari di Champions League e le due gare di Coppa Italia contro l'Atalanta che avevano portato all'eliminazione dei bianconeri) dopo averci rimesso 1 milione di euro e da un paio di mesi è stato multato (di nuovo!) perfino dalla Consob, il sempre sonnolento organo di controllo della società quotate in Borsa, per aver comunicato in ritardo il superamento della soglia del 10% nel capitale di Zucchi... dopo i 60mila euro di multa di luglio (e a giugno dichiarava: “Per adesso comunque il mio lavoro è quello del calciatore e spero di avere davanti anni ancora buoni. Entrare in Zucchi rappresenta un diversivo”) stavolta “solo” 10mila perché le violazioni sono “ascrivibili a titolo di colpa” (e non di dolo) e perché ha tenuto un comportamento “collaborativo e trasparente”. Mah...
RispondiElimina