sabato 23 gennaio 2010

Pensieri sul passato.



Certe persone si stupiscono che il mio film del cuore sia ET. Altre no.
Su ET racconto sempre un aneddoto di tanti anni fa che però qui ora non racconterò.
Comunque sia chi liquida ET come un film per bambocci girato da un bamboccio yankee, me lo dovrebbe trovare un altro film girato così: in ET il mondo degli adulti è rappresentato totalmente fuori campo (cioè come faceva Schultz nei Peanuts), i personaggi –spesso inquadrati in un controluce che ne cancella i lineamenti e li definisce come forme primarie– emergono costantemente dal buio e un dettaglio come quello di un portachiavi agganciato alla cintura racconta tutto quello che c'è da raccontare sulla violenza e l'incapacità di comprendere).

Se inizio a vedere ET, da qualunque punto lo prenda, lo devo guardare fino alla fine. Se accanto a me c'è qualcuno che non l'ha mai visto prima (tipo mia madre, che "quel film con quella specie di tubero non lo voglio mica vedere") allora il "dai, vediamo se scatta anche questa volta" prende il sopravvento. E ovviamente sto parlando della magia del film, quella che va oltre la trama e che si innesta invece in un "come il film racconta" che lavora lo spettatore ai fianchi, anche quello che di linguaggio cinematografico non ne sa una cippa. Da questo punto di vista ET è talmente denso che a Spielberg gli si perdona anche di riaverci messo le mani vent'anni dopo con il digitale per sostituire le armi da fuoco con i walkie talkie (che poi, in fin dei conti, il suo è stato è un intervento etico alla Shigeru Myamoto: solo che Myamoto è da sempre più coerente di Spielberg).

Ogni visione di ET mi mostra qualcosa di nuovo del film. Tempo fa una mia amica scrittrice mi fece notare lo struttura quasi magica della camera di Elliott e del suo armadio (vero e proprio oggetto del desiderio per i bambini del tempo), strutture spaziali che si aprono misteriose una sull'altra e che, se provi a metterle in pianta, non può che venirti in mente Escher (o, ad alcuni malati come me, Lovecraft).

Oggi guardo il film e per la prima volta mi concentro sulla figura di Micheal, il fratello maggiore di Elliot: è una figura tragica, esclusa sia dal mondo degli adulti (a cui non appartiene ancora) che da quello dei bambini (a cui non appartiene più). L'unico gruppo che lo accetta è quello dei drop-out dell'immagine di apertura di questo post (e mi sono sempre domandato da quali relazioni siano legati quei quattro personaggi del film: l'unica certezza che sento di avere è che l'adulto corto con il giubbotto senza maniche è di sicuro quello che comanda).
Non credo di averlo mai notato prima: nella sequenza del film in cui sembra che ET ed Eliott stiano entrambi morendo, Eliott è l'unico che ha diritto a stare accanto all'alieno, la sorellina ha la mamma vicino che la consola. E Micheal? Lui è da solo, altrove rispetto a dove si svolge la scena, seduto immobile tra i pupazzi dell'armadio, come se questo gesto potesse riammetterlo nel mondo dell'infanzia (e che le dimensioni del suo corpo già adulto in relazione allo spazio e agli oggetti indicano chiaramente come ipotesi non attuabile).

Ce ne fossero oggi di film bamboccioni scritti e diretti come ET

Nessun commento:

Posta un commento