giovedì 1 aprile 2010

Tennenbaùscia.

È davvero difficile spiegare Happy Family di Gabriele Salvatores (e probabilmente non c'è nemmeno molto da spiegare. O forse sono io che ultimamente faccio sempre più fatica a seguire – e far seguire – il filo dei miei pensieri).

Comunque sia, che cosa si può dire di un regista che, per il suo ennesimo sbandamento (che tutta la carriera cinematografica di Salvatores in fondo è stato questo, una serie di sbandamenti per riprendersi di un Oscar arrivato troppo presto nella sua carriera) decide programmaticamente di girare un film alla Wes Anderson restando però solo alla superficie di pellicole come I Tennenbaum, Le avventure acquatiche di Steve Zissou o Un treno per Darjeeling?

Non bastano certo le lunghe carrellate, le carte da parati, i colori vintage e una certa fissità dei personaggi a fare di un film qualsiasi un film di Wes Anderson. E nemmeno condire tutto con la nostalgia delle canzoni di Simon & Garfunkel aiuta a far rivivere a Milano il contesto unico delle pellicole del giovane regista texano.

In Happy Family è tutto molto imbarazzante (l'apice dell'imbarazzo? Un ragazzino con gli occhiali spessi vestito da tennista anni '70, fascia in fronte compresa. Mmm, dove l'avrò già visto?), soprattutto quando ci si rende conto che, in fondo, l'operazione (furbetta?) di Salvatores funziona solo in presenza di un pubblico che si nutre di cinema commerciale o poco più e per il quale la pellicola che sta guardando è prima di tutto qualcosa di diverso dal piattume che si vede in giro.

Il cinema di Anderson però è fatto di personaggi che nascono come figurine ritagliate da un album e, proprio in base a questo, possiedono quella fragilità che le rende in grado di accogliere le nostre emozioni e diventarne perfetti contenitori.
Salvatores invece, per quanto lotti per distaccarsene, è figlio della commedia all'italiana che è tutta costruita sugli attori capaci di farsi maschera: Abatantuono sarà sempre il personaggio Abantantuono, così come Bentivoglio sarà sempre il personaggio Bentivoglio e Margherita Buy rimarrà comunque il personaggio Margherita Buy.
Uno è cinema di personaggi, l'altro cinema di attori. E uno con l'altro non c'entra assolutamente niente.

Detto questo, il film è brutto?
No, tolto il plagio malriuscito di Anderson, resta un film piacevole da vedere.
Si sorride qua e là grazie alla bravura degli attori, la messinscena è dignitosa e pensata (e nel cinema italiano non è sempre così) e il livello metafilmico (che credo derivi dal testo teatrale originale) è presente ma non disturba.
A metà del film Salvatores finge una conclusione con finale aperto ma poi purtroppo torna indietro. Ed è un peccato perché, da lì in poi, ci infila un paio di scivoloni (compresa la videoclippata glamour su Milano by night) e uno sviluppo di trama che normalizzano quel poco che aveva creato nella prima parte del film.
Chiaro, chiuderlo a metà avrebbe significato avere un film monco ma, almeno, l'adagio che prevede che un bel gioco debba durare poco sarebbe stato rispettato.

Sono sicuro che, nei prossimi giorni, vedremo Salvatores ospite di Fabio Fazio che ci spiegherà che il suo film in realtà è un omaggio a Wes Anderson.
Gabriele, una scatola di cioccolatini andava bene lo stesso.

6 commenti:

  1. Sullo special di Sky, Salvatores ad Anderson non l'ha citato neanche di strissio.
    Complimenti per il titolo. Ma il tuo guru che dice?
    Eh? Che dice?
    Eh?

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  2. Sì, sono molto orgoglioso del titolo. Credo di aver scritto questo post un po' flaccido sul film solo perché mi era venuto in mente quello. Dopotutto, ormai, quando penso a una recensione di un film penso a come la scriverebbe Crepascolo e quindi dichiaro subito la sconfitta.
    Il mio guru (cito a braccio perché non ho più l'sms che mi ha mandato) disse che lui Salvatores lo evita e pensa che continuerà a evitarlo anche per questo film. Ma si è metaforicamente spellato le mani ad applaudire l'ultimo di Polanski.

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  3. Preferisco la felicità, senza ombra di dubbio, anche la più stupida che ci sia. Ammettere di aver torto o dire di non sapere lo trovo liberatorio e profondamente umano. La tristezza invece mi snatura e mi fa diventare brutta.

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  4. Eh, ma il gioco vale non quando sai di aver torto e lo devi "solo" ammettere ma quando sai di avere ragione.

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  5. Bel film. Salvatores li azzecca tutti.

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  6. Salvatores li azzecca tutti in che senso?

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