Con
Schultz morto,
Bill Watterson che è inutile pregarlo che tanto non torna e
Frank Cho in ostaggio della
Marvel (maledetti!), sono tempi durissimi per chi vuole leggere delle belle strisce a fumetti.
Per fortuna che in giro c'è ancora l'argentino
Liniers che, con la sua
Macanudo ci regala a ogni uscita piccoli grandi gioielli del raccontare il mondo (e il suo surrealismo) in forma di striscia.
Per ora, grazie agli ardimentosi della
Double Shot, in Italia ne abbiamo visti 2 ottimi volumi (il cui acquisto, miei cari 5 lettori e mezzo, ve lo consiglio senza esitazione alcuna, segnalandovi pure il
dove) ma, considerando che è dal 2002 che Liniers la produce come striscia quotidiana, possiamo stare tranquilli che, se il mercato italiano la sostiene,
Macanudo ci terrà compagnia ancora per molto tempo.
Ora però non mi interessa tanto parlare di
Macanudo (che non serve che ve ne parli io: acquistate i libri e godetevela), quanto piuttosto della cara, vecchia, amata
depressione.
In una sequenza di strisce di
Macanudo, Liniers sfodera infatti questo piccolo gioiellino di precisione descrittiva:
Ora, che la si chiami poeticamente "malinconia" invece che con il suo più prosaico nome clinico, cambia poco. Quello che conta è che non capita molto spesso che qualcuno metta a fuoco un aspetto così importante di questa malattia: ovvero che le radici della depressione non sono affatto in una tristezza profonda quanto, piuttosto, in un'ingombrante energia che non trova il modo di relazionarsi con il mondo e che, come un vettore ribaltato, spinge costantemente dentro quello che dovrebbe essere diretto fuori.
La "malinconia" arriva in un momento preciso della propria vita (
"una di quelle sere", dice Liniers) e, quando la incontri per strada, ti si incolla addosso e, da quel momento, non smette un attimo di fare sentire la sua presenza chiassosa.
Sì, proprio come nella
canzone della Vanoni.
Ma tutto questo rumore per non sentire cosa?, ci si dovrebbe domandare.
Tutto questo premere (o deprimere) per non lasciare esplodere cosa?
Domande a cui ognuno dei poveri
"faccia da funerale" (di noi poveri
"faccia da funerale") darà sicuramente una riposta diversa.
Quello che invece vi chiederete voi, numericamente consistenti lettori di questo
blog, è come prosegue la vicenda di Raimùndez e della sua ingombrante amica. Beh, prosegue così:
Esatto: lo psicologo può solo dare una mano. Prima lo capisci e prima… e prima niente. Ogni cosa ha il suo tempo e in questo campo mi sa proprio che il prima non esiste.
Bene, detto ciò, la conclusione? Questa:
E sì, per fortuna che ci sono i valorosi psicologi argentini che la malinconia non la uccidono (inutile negarlo: noi
"faccia da funerale" ci abbiamo vissuto troppo tempo insieme per volerla morta) ma, con uno
zap, la rimettono al suo posto quando ci accorgiamo che è diventata troppo invadente.
Un grazie di cuore a tutti loro. E ai loro colleghi e colleghe italiani, mi sento di aggiungere.